Sono un naufrago della storia e
ogni giorno esploro la costa di questa mia piccola isola,
in cerca dei resti di altri naufragi
sputati dal mare del tempo.
La mia speranza è quella di poter trovare
tra i relitti,
qualche cosa che mi sia utile per sopravvivere,
in quest’epoca oscura,
abitata dalle fiere e dai mostri della ragione
e dove pare che più nulla
vi sia restato di umano.
L’anarchismo, in quanto concetto della vita politica, è un fenomeno relativamente recente. Le sue prime manifestazioni ideologiche e pratiche, che coincidono con la nascita del nazionalismo e dello statalismo, sorgono in reazione a questi e risalgono al XIX secolo.
Tuttavia, se vogliamo comprendere la natura profonda dell’anarchismo e se decidiamo di non limitarci a una concezione ristretta per la quale esso sarebbe soltanto una dottrina politica tra le altre, e riteniamo che al contrario (e soprattutto) sia un modo di vivere e di costruire la realtà, allora dobbiamo riconoscere che l’anarchismo va ben oltre i limiti della politica comunemente intesa (Préposiet, 2006).
Questa premessa ci autorizza a individuare nel passato certe istanze libertarie, che da sempre sono state presenti nella storia del pensiero occidentale, scomparendo e ricomparendo al momento dei grandi sconvolgimenti sociali, perché il pensiero libertario da sempre ha dato il meglio di sé proprio negli eventi tragici di portata storica, antropologica e sociale. Da sempre, infatti, la politica si traduce inevitabilmente in termini di potere: potere imposto, potere accettato.
I libertari sono i soli a rifiutare di entrare a far parte del “gioco”, il che significa che sono completamente sprovvisti di una qualche vocazione per il “successo” politico. Con la strenue difesa del proprio ideale di vita, i libertari rappresentano l’avanguardia delle ribellioni e delle rivoluzioni. E poi, quando passa la tempesta, scompaiono liquidati dagli organizzatori del nuovo potere. Elemento insostituibile, lievito della Storia, espressione più autentica dell’umanità della nostra specie, i libertari sono da sempre condannati a lottare per gli altri: è il loro destino.
Ma la libertà mitica che essi sognano, per la quale combattono, è un fantasma che abiterà eternamente l’immaginazione umana (Préposiet, 2006).
Non è difficile riconoscere che in ogni opinione politica intervengono più fattori decisivi. In partenza, c’è una situazione di fatto, come l’appartenenza ad un’epoca, a un paese, a una generazione, a un gruppo sociale, a una classe, a una cultura, ecc … Tuttavia, questi aspetti intervengono solo dopo essere stati “filtrati” da un particolare ed individuale sistema di costrutti personali[1] (Kelly, 1955), che dà loro un senso.
Com’è noto, la vita della persona, la vita sociale e la storia degli esseri umani vanno compresi in termini di significati. Di conseguenza, le scelte e le propensioni politiche di ciascuno dipendono, in gran parte, da un certo modo di costruire la realtà e attribuire ad essa un senso e muoversi in essa[2](Kelly, 1963). Fatta questa precisazione, in termini molto generali possiamo affermare che la prima caratteristica del libertario è di essere quasi inclassificabile.
Anzitutto perché il nodo cruciale del suo comportamento politico rimane profondamente sepolto nella sua specifica individualità. Così, a differenza del marxismo o del fascismo, l’anarchismo non è qualcosa che si possa imparare. D’altronde, non è possibile insegnarlo. Impossibile, poi, identificare il libertario per l’appartenenza ad una classe sociale: intellettuale borghese, operaio, artigiano, aristocratico, o contadino. Il libertario può provenire da qualunque ambiente sociale.
Ribelle “non specializzato”, estremamente soggettivo, il libertario è anche colui che simpatizza sempre con gli oppressi e con gli sfruttati di tutto il mondo. In lui, la partecipazione affettiva alla vita degli altri prende facilmente il sopravvento sulla “coscienza di classe” o all’appartenenza a qualsiasi inclusione collettiva etero o auto attribuita. L’anarchismo è soprattutto un modo di vivere la propria vita. Essere libertari, dunque, è un modo di “esistere nel mondo”, che assume la libertà come principio organizzatore di ogni assunto valoriale ed etico e dove l’etica è intesa come quel sapere in cui ciascuno prende a oggetto il proprio stesso vivere.
Nella prefazione della Fenomenologia dello spirito, Hegel sostiene che “il vero è il tutto”. A partire da tale affermazione hegeliana, possiamo facilmente dedurre, in negativo, l’atteggiamento libertario. Infatti, nonostante i libertari siano estremamente diversi tra loro, “il vero” è per loro l’individuale, “l’Unico” di Stirner (1979). Nella dialettica dell’universale e del particolare, il momento essenziale non è definito dalla totalità. La vera essenza dei rapporti umani si colloca, al contrario, nell’individuale concreto.
Qui, Hegel è preso in contropiede. E’ l’insieme, cioè lo Stato, che diventa momento inessenziale del rapporto dialettico. L’essenziale, il valore supremo, il vero soggetto del diritto politico e storico, la cellula biologica e sociale fondamentale che costituisce la totalità e la fa esistere animandola dall’interno, è, infatti, soltanto l’individuo. L’anarchismo comincia così con l’Unico di Stirner e si presenta come una permanente requisitoria a favore della libertà personale e soggettiva.
Supponendo che gli esseri umani recitino sul palcoscenico sociale della storia dei ruoli ben precisi (Goffman, 1969), si potrebbe arrivare a sostenere che, nella commedia umana, l’assunzione di ruolo libertaria esiste proprio per testimoniare della soggettività individuale profonda, della insostituibile singolarità vissuta, di fronte alla tendenza opposta della folla di tutti coloro che rappresentano le forze impersonali dell’organizzazione, del metodo, della razionalizzazione spinta e (ovviamente) del successo.
Il libertario esiste precisamente per personificare la rivolta umana, il sussulto (a volte disperato) della spontaneità contro le potenze livellatrici dell’astrazione, della fantasia contro la rigida sistematizzazione, dell’unicità irripetibile contro la melassa del conformismo, della vita contro la morte. L’anarchico, il libertario, insomma, ha scelto di essere se stesso una volta per tutte. Il suo progetto esistenziale ne fa un individuo in perenne stato di rivolta.
Nel contrastare tutto ciò che aliena la libertà, il libertario si deve confrontare con i molti ostacoli derivanti dall’esterno, la cui suprema materializzazione è rappresentata dallo Stato e dai suoi organismi istituzionali. Ma, ancor prima, il libertario deve sfuggire alle varie forme interne di alienazione: l’abitudine all’obbedienza e alla sottomissione, il rispetto superstizioso dell’autorità, l’ignoranza, la paura, ossia, in breve, a tutti gli aspetti più sottili della “servitù volontaria”. Dovrà perciò mettere sempre in atto una critica liberatrice, non solo degli altri, ma ancor più di se stesso. Essere libertari implica non avere altro scopo se non quello di restituire a tutti noi l’esclusiva proprietà di se stessi. Citando Max Stirner (1806 – 1856):
“Solo quando sono sicuro di me e non vado più in cerca di me stesso, sono veramente mia proprietà: io ho me stesso, per questo faccio uso e godo di me. Io non posso mai rallegrarmi di me, invece, finché penso che devo ancora trovare il mio vero io e che chi vive in me non sono io, ma è […] cioè qualche fantasma”.
Bibliografia
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– Céline, L.,F., Viaggio al termine della notte,Corbaccio, Milano, 2006.
– Evola, J., Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni Mediterranee, Roma, 1969.
– Evola, J., Gli uomini e le rovine, Edizioni Mediterranee, Roma, 2001.
– Evola, J., Fenomenologia dell’Individuo assoluto, Edizioni Mediterranee, Roma, 1985.
– Evola, Julius, Cavalcare la tigre, Edizioni Mediterranee, Roma, 2012.
– Goffman, E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 1969.
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– Rendich, F., Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee. Dizionario indoeuropeo (sanscrito-greco-latino, L’Indoeuropea, Venezia, 2018.
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Stirner, M. ,L’Unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano, 1979.
– Jünger, E., Il trattato del ribelle, Adelphi, Milano, 1990.
– Jünger, E., Eumeswil, Guanda, Parma, 2001.
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– Nietzsche F., Al di là del bene e del male,Adelphi, Milano, 1982.
– Préposiet, J., Storia dell’anarchismo, Dedalo, Bari 2006.
– Sorel, G., E., Scritti sul socialismo, Pellicanolibri,Catania, 1978;
[1] “Un costrutto, come la stessa radice semantica lascia intuire, è l’unità elementare di discriminazione attraverso la quale si attua il processo di costruzione. È una dimensione di senso, “un asse di riferimento, un criterio fondamentale di valutazione” che può essere “esplicitamente formulato o implicitamente agito, verbalmente espresso o totalmente inarticolato, intellettivamente ragionato o vegetativamente sentito ma che, in ogni caso, permette di riconoscere due cose come simili e, allo stesso tempo, differenti da una terza. I costrutti sono le chiavi di lettura che rendono il mondo intelligibile: se non disponessimo di tali criteri di discriminazione, il fluire degli eventi ci apparirebbe indifferenziato e di conseguenza privo di significato”
[2] Come le altre teorie, la psicologia dei costrutti personali è la derivazione di un assunto filosofico. In questo caso l’assunto è che di qualsiasi natura possa essere, o in qualsiasi modo risulti alla fine la ricerca della verità, gli eventi che oggi affrontiamo sono soggetti a tante costruzioni numerose quanto le nostre facoltà ci permettono di concepire. Ciò non vuol dire che una costruzione sia buona come qualsiasi altra, né equivale a negare che in qualche punto infinito del corso del tempo la visione dell’uomo possa scorgere la realtà fino alle estreme possibilità dell’esistenza. Ma ci fa ricordare che tutte le nostre percezioni attuali sono aperte alla discussione e alla riconsiderazione, e suggerisce ampiamente che persino gli accadimenti più ovvi della vita quotidiana potrebbero rivelarsi totalmente trasformati se fossimo sufficientemente inventivi da costruirli in maniera diversa.