Arturo Cuenca, famoso pittore cubano che si autodefiniva “il meno conosciuto tra i più grandi”, nato a Holguín nel 1955, è stato rinvenuto deceduto domenica 8 Agosto all’interno della sua casa di Miami.
Cuenca fu costretto a trasferirsi negli Stati Uniti nel 1991 a causa del suo attivismo politico a sfondo artistico degli anni ’80 in lotta contro il regime castrista insieme a numerose personalità di spessore come Fernando Velázquez Medina, Magín Pérez Ortiz, Daína Chaviano e altre ancora. Sono ancora da ricercare le cause della sua morte.
Pittore e fotografo, la sua tecnica figurativa simil-Zen aveva poco a che fare con l’influenza ispanica rispetto a un forte respiro orientale proveniente dalle sue opere estetiche.
Apportò un contributo di fondamentale importanza alla Cuba bohémienne tramite la sua arte visiva di stampo concettuale in cui predominando acqua, fumi, motivi di viaggio e navi, simboli di una comunicazione discreta di denuncia della vera realtà cubana, che differiva dalle voci di libertà proletarie sorte dal regime comunista: limpidi riferimenti al lavoro e all’industria cubana, la corruzione vigente in parallela esistenza a un crescente benestare, la voglia di cambiare, la mutazione dalla morte a una nuova vita.
Per conoscere meglio uno tra i protagonisti della rivoluzione artistica e culturale cubana, sintomo urlante della voglia di libertà d’espressione, ho avuto l’onore di conversare con Magín Pérez Ortiz, eccellente scultore, pittore e fotografo espressionista cubano, grande amico e collega di Arturo Cuenca:
In foto, Magín Pérez Ortiz
Quando ha conosciuto Arturo?
«Ho conosciuto Arturo Cuenca prima di cominciare a studiare alla scuola d’arte. Per una serie di casualità della vita, all’epoca io studiavo alla scuola ordinaria, quella a cui andiamo un po’ tutti, totalmente estraneo a qualsiasi insegnamento artistico e avevo una compagna di studi con cui strinsi una bellissima amicizia soprattutto grazie ad affinità in materia di gusti musicali; un giorno mi invitò a casa sua in occasione di una festa privata: il nome di questa ragazza era Natasha ed era la figlia di una stimata etnologa cubana, Natalia Bolivar. In questa casa del quartiere di Miramar a La Habana vi era anche Arturo Cuenca, che a quei tempi aveva una relazione sentimentale con Natasha. Era il 1977 o 1978… Dopo qualche tempo, Natasha divenne la musa ispiratrice del Cuenca, tanto che apparve anche in alcune sue opere degli inizi».
Che tipo di persona era, Arturo? E perché era definito “el santinbanqui” (il saltimbanco, n.d.r.)?
«Arturo era una persona molto estroversa e sincera… Aveva questo strano talento che hanno solo alcuni esseri umani di dire le cose senza misurarne le conseguenze. Per tale ragione, in alcuni circoli addirittura ne temevano la presenza, ma era anche una persona di un’intelligenza estrema, con un senso molto saggio della felicità, e soprattutto, molto attivo. Per quanto riguarda il nomignolo… immagino che sia dovuto appunto per questo, perché non riusciva a starsi zitto o fermo».
Molti creatori d’arte, negli anni, si avvicinarono alla rivoluzione sociale per riprendere la libertà di espressione che era stata limitata fortemente se non addirittura tolta alla collettività, per cui voglio chiederle: Qual era la situazione politica e sociale di coloro i quali volevano esporre le proprie idee? In cosa credeva, Arturo, e perché si avvicinò a tale causa?
«Dunque: il movimento artistico cubano degli anni ’80, di cui non si può parlare senza menzionare Arturo Cuenca, è molto ampio e complesso. Dovrei cominciare dicendo che fu un movimento che ruppe con tutta la tradizione di odi politiche pregovernamentali e che si centrò su altri aspetti del sapere: già solo questo, rese il movimento contrario ai lineamenti estetici approvati dallo stato. Nei primi anni ’80 fa la sua comparsa l’opera di Arturo Cuenca e lo fece lavorando con fondamenti estetici del concettualismo adattati all’immaginario urbano: era l’immagine sovrapposta alla percezione e alla coscienza. Precisamente per il fatto di aver sollevato domande su ciò che la percezione donava e su come questa si adattava alla realtà, la posizione ideologica dell’artista si radicò sempre più contro un sistema che pretende di manipolare tutto ciò su cui può mettere le mani. E accadde quando cominciò a realizzare alcune opere che evidentemente non godevano dell’apprezzamento del governo né dei suoi censori».
Cuenca raccontava la storia cubana attraverso i suoi dipinti e le sue fotografie: quali o quale, secondo te, rappresenta o racconta in modo da far intendere cosa fosse la realtà di quegli anni, e per quale motivo?
«Per non ripetermi, ti faccio leggere ciò che scrissi quando, nel Novembre 2019, si compirono i 500 anni della fondazione dell’Avana e io in persona, redassi quotidianamente e per una settimana intera, una serie di testi brevi su artisti che avevano scelto L’Avana come protagonista delle proprie opere… Uno di questi testi lo dedicai ad Arturo Cuenca, a cui ho incluso anche dei suoi lavori in un post del 14 Novembre:
L’Avana non era l’essenza, ma la presenza e il pretesto scenografico perfetto per le punzecchiature concettuali di Arturo Cuenca. Lui è un’altra delle figure imprescindibili dell’esplosione generazionale degli artisti plastici degli anni ’80 e colui che riuscì a sorprendere lo scenario culturale con la sua impeccabile manipolazione combinata di immagini, testi e realtà. La mostra personale che l’artista espose nella galleria «23 y 12» nel 1983 marcò l’impianto e il carattere delle opere che seguirono.
In quell’occasione, l’autore scelse di appropriarsi e prendere come supporto le ampie cristalliere della galleria con vista verso l’esterno e, su queste, in lungo e in largo, graffiò un testo pseudo-filosofico senza spazi né respiri tra le parole, rispettando e mantenendo, all’interno di quella grafia, la trasparenza del cristallo a simbolo della vita vera, quella reale, quella che esiste lì fuori, che faceva parte della percezione dello spettatore una volta entrato all’interno della galleria; vale a dire, la realtà va a formare la parte visiva dell’immagine manipolando il doppio gioco del paesaggio urbano con quello psicologico umano.
Tale processo, Cuenca lo impiegò molteplici volte con diverse tecniche come la fotografia, il disegno e la pittura, ma i luoghi della città, in particolar modo El Vedado, utilizzati dall’autore, sono facilmente identificabili. Arturo Cuenca Sigarreta nacque il 20 Settembre del 1955 a Holguín e vive e lavora a Miami”).
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“La Ciudad de La Habana no era la escencia, pero si era presencia y el pretexto escenográfico perfecto para los escabreos conceptuales de Arturo Cuenca. Cuenca es otra de las figuras imprescindibles de la explosión generacional de artistas plásticos de los 80 y asombró en el escenario cultural con su impecable manipulación combinada de imagen, textos y realidad. La muestra personal que el artista expuso en la galería 23 y 12 en 1983 marcó el planteamiento y carácter de toda su obra posterior.
En aquella oportunidad el autor optó por apropiarse y tomar como soporte las amplias cristaleras de la galería con vista al exterior y sobre ellas, a todo lo largo y ancho esgrafiar un texto pseudofilosófico sin espacios ni respiros entre las palabras, respetando y mantenimiento en toda aquella grafía la transparencia del cristal por lo que la vida real, la que se manifestaba afuera, en la calle, formaba parte de la percepción del espectador una vez dentro de la galería, o sea, la realidad formaba parte visual de la imagen, manipulando un doble juego del paisaje urbano con el paisaje psicológico humano.
Este proceso Cuenca lo empleo reiteradas veces con técnicas diferentes como la fotografía, el dibujo y la pintura, pero los sitios de la ciudad, el Vedado especialmente, empleados por el autor son de fácil identificacion. Arturo Cuenca Sigarreta nació el 20 de septiembre de 1955 en Holguín y vive y trabaja en Miami.”»
Il movimento rivoluzionario artistico cubano piange la scomparsa fisica di uno degli esponenti di spicco della compagnia: possiamo stare comunque certi che tali ideali non verranno mai meno, in onore all’operato di Arturo Cuenca, dei compagni di lotta e dei cambiamenti che il loro attivismo ha apportato nelle menti e nelle realtà di chi, come loro, crede nella propria voce. Grazie Arturo.
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