Il ricordo della mia giovinezza, il periodo della mia formazione intellettuale sono così vivi nella mia mente da sembrare attuali. La fame di conoscenza e la voglia di confronto caratterizzavano quegli anni un modo così puro e disinteressato da non essere mai più stato eguagliato negli anni a venire. «Dovremmo scrivere un trattato» dicevamo tra noi dopo aver speculato per ore su un argomento o dopo aver immaginato organizzazioni della società che, a ripensarci oggi, definire utopiche sarebbe un eufemismo. «Dovremmo scrivere un trattato» dicevamo; non perché ci sentissimo intelligenti o per raggiungere un obiettivo di immortalità che pur fantasticavamo di conquistare, ma perché eravamo convinti – e nessuno poteva distoglierci da quella convinzione – che quelle idee potevano in qualche modo essere utili al mondo; non sapevamo né in che modo, né quando, ma lo erano…ne eravamo certi!
Al di la della genuina ingenuità delle nostre convinzioni, già allora c’erano tutti gli ingredienti di un grande progetto. Grande non per l’impatto effettivo che dovrebbe avere, né perché abbia speranza di “far la differenza” nel mare di informazioni che oggi imperversa. La grandezza del progetto sta nel confronto. Questo dovrebbe essere il trattato: uno spazio in cui ognuno può sentirsi libero di parlare di qualsiasi cosa, con la sicura convinzione di trovare persone disposte da ascoltare in maniera autentica e consapevole, ed eventualmente rispondere, criticando o appoggiando le posizioni, ampliandole, analizzandole da diverse prospettive, ma sempre mantenendo una rigorosa, sicura ed imprescindibile onestà intellettuale.
L’onestà intellettuale: ecco il fondamento di tutto il progetto!
Il resto viene da sé.
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