Khadim Ussain Karimi è il caporedattore dell’Etilaat Roz, il quotidiano punto di riferimento del giornalismo libero ed indipendente in Afghanistan, vincitore del premio anticorruzione 2020 di Transparency International. Karimi, insieme ai suoi colleghi, è rimasto in Afghanistan, perché deciso a portare avanti la sua missione.
La ricerca della verità dell’Etilaat Roz, infatti, continua coraggiosamente nonostante il regime Talebano e le ripetute minacce alla libertà di stampa. L’8 settembre le minacce, però, sono divenute terribilmente reali, quando Khadim Karimi, Nemat Nadqi e Taghi Daryabi, con altri due colleghi, sono stati arrestati dai Talebani mentre riprendevano le manifestazioni femminili che affollavano le strade di Kabul. Nadqi e Daryabi, in particolare, sono stati trascinati in una stazione di polizia, dove sono stati picchiati e torturati in ogni maniera per diverse ore.
Khadim Ussain Karimi mi ha concesso il suo tempo e ha risposto alle mie domande sul futuro del giornalismo afghano, sulla responsabilità di un giornalista libero ed indipendente, sul ruolo della discriminazione sistemica contro gli Hazara nei media afghani, e su tanto altro.
Parole importantissime, che confermano il grande valore di Khadim, dei suoi colleghi e di tutti i giornalisti liberi ed indipendenti dell’Afghanistan.

Quando è stato fondato l’Etilaat Roz? Come si è evoluto?
L’Etilaat Roz Daily è stato fondato nel gennaio 2012. Inizialmente il giornale aveva uno scopo informativo e di intrattenimento, ma, dopo qualche tempo, abbiamo cambiato approccio e ci siamo dedicati alla copertura di questioni politiche e di sicurezza. Fino ad ora, l’ Etilaat Roz è stato portato avanti da un team giovane e pieno di accademici sin dalla sua fondazione. C’è stato un periodo di sei mesi, poco dopo la sua fondazione, in cui abbiamo smesso di pubblicare per mancanza di fondi. Ma il nostro impegno, quello non si è mai fermato: siamo un giornale indipendente e critico e continuiamo, anche ora, a fare un mestiere difficilissimo: il giornalista indipendente in Afghanistan. Con il passare degli anni abbiamo trattato casi importanti, con rivelazioni esclusive sulla corruzione dell’ex governo, abbiamo dato copertura a diverse storie, abbiamo dato voce a diverse persone provenienti da tutto l’Afghanistan. L’Etilaat Rooz è il quotidiano più noto dell’Afghanistan per aver denunciato i grandi casi di corruzione dell’ex governo, per aver pubblicato decine di rapporti investigativi, per aver sostenuto la libertà di espressione, di opinione, i diritti e le libertà delle donne, la democrazia, la società civile. Abbiamo sempre combattuto la discriminazione e le disuguaglianze etniche, di genere e religiose. Nel 2020, Zaki Daryabi, il nostro editore, e l’Etilaat Roz hanno vinto il premio anticorruzione 2020 di Transparency International.
I Talebani hanno provato a cambiare la loro reputazione anche con la stampa e con i media, fallendo decisamente. Qual è la vera condizione di un giornalista libero in Afghanistan?
I Talebani hanno lanciato una campagna su larga scala per dimostrare che sono cambiati, che rispettano la libertà di stampa e di espressione, e le attività dei media liberi. Ma, a conti fatti, la loro violenza e l’ostilità nei confronti dei media liberi non possono essere più nascoste. Le spalle lussate, le gambe ferite di due dei nostri colleghi, che sono stati torturati quasi a morte dai Talebani il primo giorno dell’annuncio del loro governo, solo per aver fotografato una manifestazione femminile a Kabul, riflettono il vero stato della libertà di espressione e dei media liberi in Afghanistan. Fa capire come i Talebani vogliono gestire i rapporti con la stampa.
Spesso i giornali afghani, ma in realtà anche quelli occidentali, censurano l’identità delle vittime Hazara, limitandosi a generalizzare definendole “sciite”. È vero che molti lo fanno per non esporsi e mantenere la propria posizione?
La discriminazione contro gli Hazara, in varie forme, ha una storia lunga e amara, specialmente nella storia contemporanea dell’Afghanistan. Non sono solo i governi afghani ad aver imposto gravi forme di discriminazione contro gli Hazara negli ultimi trecento anni, purtroppo gli approcci discriminatori contro gli Hazara hanno radici profonde nella struttura sociale dell’Afghanistan. Questo comporta che alcuni media, attivisti, politici e persino persone normali usino il termine “sciiti” invece della parola Hazara. Si tratta di un tentativo di negare l’identità etnica degli Hazara e di mettere in luce la differenza religiosa. È sempre stato difficile per noi parlare della discriminazione diffusa, sistematica e su più fronti contro gli Hazara. Ma non abbiamo altra scelta: dobbiamo parlarne, obiettare, sfidare e pagare il prezzo finale per eliminare o almeno ridurre la discriminazione sistematica contro gli Hazara in Afghanistan. Gli Hazara che parlano apertamente di discriminazioni sono spesso isolati politicamente.

Il vostro staff è interamente composto da Hazara? Quali sono le difficoltà che incontra un giornalista Hazara in Afghanistan?
La maggior parte del nostro staff è composto da amici e colleghi Hazara. Questo, ovviamente, non modifica il nostro approccio al giornalismo, e non fa di noi una redazione etnica. Durante i nostri dieci anni di attività, abbiamo sempre cercato di lavorare con colleghe e colleghi non Hazara, ma abbiamo avuto meno successo. Crediamo che la presenza di colleghe e colleghi non Hazara nel nostro team aumenterebbe i nostri collegamenti all’intero paese e ci permetterebbe di raccontare tante altre storie e notizie. Il motivo per cui, spesso, non riusciamo a trovare collaboratori non Hazara, è prettamente economico: chi ha buone capacità e conosce il mestiere cercherà sempre chi può garantirgli una maggiore entrata, non avrebbero grandi benefici e guadagni. Possono sicuramente trovate opportunità più remunerative. Sai, il giornalista Hazara, come del resto qualsiasi altra persona Hazara nel suo campo, ha minori opportunità di lavoro e minori opportunità di crescita, di formazione, di sviluppo personale. Perché in questo sistema politico e sociale sistemicamente discriminatorio, le opportunità sono sempre limitate. Un giornalista che lavora con Etilaat Roz è altamente qualificato, ma non avrà mai molte richieste al di fuori. E più ci spostiamo dalla città alle zone rurali, più aumentano discriminazioni e restrizioni. Le condizioni sono difficili per tutti gli Hazara, quindi anche per i giornalisti.
Avete mai avuto problemi con le Istituzioni per la vostra ricerca della verità? E, invece, con altri media o colleghi giornalisti?
Tutto lo staff dell’Etilaat Roz è stato inserito nella lista nera dal Palazzo Presidenziale dell’Afghanistan e da tutte le Istituzioni correlate negli ultimi anni. Non lo hanno fatto in maniera implicita, hanno cercato di boicottarci formalmente. Pubblicammo un’inchiesta investigativa che rivelava la corruzione diffusa intorno al Policy Code 91 del bilancio nazionale dell’Afghanistan. Il Code 91 era un fondo creato principalmente per attuare politiche di stretta necessità, ma il nostro rapporto dimostrava come il palazzo presidenziale e il circolo di potere che circondava Ghani spendesse miliardi di afghani presi dal Code 91 per case, viaggi, mezzi blindati e tante altre cose di lusso. È solo uno dei motivi che hanno portato al nostro inserimento nella lista nera. In effetti, siamo stati l’unico media che in Afghanistan ha avuto più volte il coraggio di prendere posizione, di pubblicare inchieste e articoli fortemente critici, con impegno, con integrità, contro le politiche corrotte ed etnocentriche del governo di Ghani. Ci sono state volte in cui le nostre inchieste investigative sono diventate l’argomento principale di tutti i media e dei social network per giorni interi. Battersi contro la corruzione dilagante e contro le politiche etnocentriche del governo di Ghani ci ha creato problemi, anche nei media afghani, fra quelli che seguivano e seguono ancora la linea discriminatoria.
Quando a luglio sono sorti movimenti di Resistenza popolare all’avanzata dei Talebani, molti hanno pensato che potesse essere un problema e una potenziale minaccia, favorendo in qualche modo i Talebani stessi. Ghani ha basato una parte della sua campagna sulla lotta ai signori della guerra, quanta responsabilità ha in tutto questo?
Quando l’ordine democratico ha prevalso in Afghanistan, nel 2001, molti in occidente hanno iniziato a chiamare i leader politici e i jihadisti non Pashtun “signori della guerra”. Era vero che esistevano i signori della guerra, ma l’élite politica Pashtun, che ha gradualmente ristabilito il monopolio del potere dal 2001 al 2021, ha sfruttato questa cosa per minare la credibilità di tutti i leader politici non Pashtun. È servito proprio per impedire che qualcuno potesse resistere al ripristino di questo monopolio. Quando, negli ultimi mesi, sono emersi fronti di resistenza popolare in tutto il paese, soprattutto al Nord, l’ex presidente Ghani ha cercato ad ogni costo di impedire che questi fronti popolari diventassero potenti e si trasformassero in un fattore importante nelle equazioni di pace e di guerra. Proprio perché negli ultimi anni erano riusciti ad arginare gradualmente leader e fazioni politiche non Pashtun, Ghani non voleva assolutamente che potessero riprendere potere. Ha preferito lasciare il potere nelle mani dei Talebani in qualche giorno. Questo è uno degli aspetti più sorprendenti della politica di tutta l’élite Pashtun e di Ghani: hanno accettato di cedere il potere ai talebani e scappare, piuttosto che condividerlo con non Pashtun. Questo aiuta a capire profondamente la storia e la natura del potere monopolistico in Afghanistan.

Come procede la vostra attività ora?
Rispetto al periodo brillante che abbiamo avuto prima della caduta di Kabul, ora siamo tristemente fermi. La stampa e la pubblicazione della carta stampata è ferma. Prima del 15 agosto, pubblicavamo in media 6 articoli di alta qualità al giorno: inchieste investigative, storie, approfondimenti culturali e popolari. Oltre, ovviamente, al servizio di aggiornamento, con oltre trenta notizie ogni giorno, quasi sempre esclusive. Eravamo il secondo media più letto sui social e sul web. Il nostro pubblico sapeva sempre che poteva contare su di noi ed era alla ricerca dell’articolo che sarebbe sempre stato pubblicato di lì a momenti. La prossima notizia, o il prossimo articolo di analisi politica. Che scandalo di corruzione avrebbe svelato o che storia avrebbe raccontato. Ora siamo praticamente fermi. È attiva la nostra sezione news, sul web, ma non facciamo il 50% di quello che facevamo prima. Noi veniamo in ufficio ogni giorno, ma molto spesso è difficile lavorare: oltre alla paura, alle minacce, alle torture, alla consapevolezza di poter essere arrestati, senza mezzi per lavorare vengono meno motivazione e morale. Dopo che io e quattro miei colleghi siamo stati arrestati e poi due di loro sono stati torturati con lo scopo di uccidere, andiamo in ufficio con i nostri corpi, ma il nostro spirito è fortemente provato. Durante i miei quattro anni con l’Etilaat Roz mi sono reso conto di come la nostra qualità dipenda proprio da questo, a prescindere dal reddito. È successo molte volte che, a causa di problemi finanziari, nessuno di noi abbia ricevuto lo stipendio fino anche ad 8 mesi. Nemmeno un centesimo. Eppure, tutti hanno continuato a lavorare sempre con la stessa dedizione e con lo stesso impegno, perché il giornale e i valori che rappresenta sono la nostra vita. E se perdiamo il giornale, perdiamo la vita, non solo il lavoro.
Penso che i Talebani ci vogliano eliminare sia perché conoscono la nostra storia e la nostra etica, sia perché siamo Hazara.
Qual è il futuro del giornalismo in Afghanistan?
I segni delle profonde torture, le spalle e le gambe ferite dei nostri colleghi, gli effetti delle fruste, dei manganelli, dei cavi e delle catene sui loro corpi, mostrano perfettamente il futuro del giornalismo indipendente e libero in Afghanistan. Questo è il nostro futuro.
Una settimana dopo l’intervista, Zaky Daryabi, fondatore ed editore dell’Etilaat Roz, ha dichiarato che i medici, purtroppo, hanno confermato lesioni molto gravi per Nemat Nadqi, uno dei due reporter torturati. Nadqi ha perso il 40% della vista e rischia danni permanenti anche all’udito. Nonostante questo, i Talebani hanno minacciato ed ammonito Daryabi: i suoi colleghi dovranno presentarsi quanto prima per scusarsi per le loro azioni. Non verrà aperta alcuna inchiesta, né i colpevoli verranno in alcun modo giudicati.