Nel corso dei precedenti articoli abbiamo avuto modo di constatare come la comunicazione politica si sia trasformata mediante l’uso del digitale.
Questa, infatti, disponendo delle potenzialità della rete in termini di economicità e di accessibilità, ha disatteso, coscientemente, il prefigurarsi della realizzazione del rischio generato dalla frammentazione e dalla mancata autorevolezza contenutistica del messaggio. Non esiste alcuna barriera formale tra le fonti, chiunque può essere autore e destinatario di un messaggio.
Quali sono gli effetti di una comunicazione “orizzontale” e priva di dissenso nei sistemi democratici?
Per provare a rispondere, occorre seguire un preciso ordine logico, che individua problematiche e potenzialità.
In ausilio, per la trattazione di questi profili, possiamo richiamare gli studi del giurista statunitense Cass Sunstein, autore di diverse opere dai titoli suggestivi “Repubblic.com”, “Repubblic.com 2.0” e “#Repubblic”.

Nel corso dei suoi studi, Cass Sunstein ha analizzato gli effetti della digitalizzazione su ciò che costituisce il presupposto fondamentale di una buona democrazia deliberativa. Secondo l’autore, si viene a registrare nei media digitali, mediante la promozione della consumer sovereignty (letteralmente “sovranità del consumatore”, ndr), ovverosia la facoltà del cittadino di pre-individuare il tipo di informazione a cui attingere: un pericoloso potere.
La libertà di scegliere l’informazione, presupposto necessario nei sistemi democratici, si realizzerebbe, dunque, in ambienti strutturati sulla base di scelte pregresse. Cass Sunstein, facendo leva sulle caratteristiche e potenzialità della rete, ha attentamente evidenziato come un sistema così fatto, favorirebbe la creazione di ambienti chiusi e autoreferenziali, a danno dell’inclusività, del confronto e della discussione, principi fondamentali di uno Stato democratico.
Per il buon funzionamento della democrazia e per la sua stessa esistenza è necessario esporre i cittadini alla diversità. Il pericolo, nel ricercare la sola informazione gradita, sarebbe quello di far comunicare tra loro, persone che producono le medesime idee, alimentando e favorendo la sola comunicazione fondata sulla corroborazione di idee reciproche, disprezzando ogni forma di dissenso.
Ulteriore rischio, che prende forza dai caratteri della rete, per sua natura carente di strutture, sarebbe quello di alimentare la propagazione di informazioni pseudo logiche, capaci di godere di forte consenso, propagando, così, credenze pericolose.
Il fenomeno, di preselezionare le fonti d’informazione e di non ricercarne l’attendibilità, è già noto da decenni, solo che le tecnologie sono subentrate facilitando questa prassi nefasta. Non bisogna cedere e criminalizzare la rete tout à court, ma la semplice preoccupazione permette, ancora, di auspicare e credere al futuro del modello democratico.
L’informazione è un bene pubblico e come tale appartiene all’intera comunità, pertanto non può essere affidata alla gestione del singolo individuo. Le preferenze, che permettono di selezione l’informazione, sono espresse sulla base di circostanze eterogenee e mai avulse da questioni incidenti l’ambiente che gravita intorno al singolo.
Sottraendoci alla diversità e alle altre opinioni, non facciamo altro che limitare la nostra libertà.
In questa nuova realtà, Sunstein provando ad esporre dei rimedi, per contenere gli effetti della deriva antidemocratica digitalizzata, ha sostenuto che una possibile soluzione potrebbe rintracciarsi attraverso l’estensione degli spazi pubblici. In questo modo, tutti potrebbero esprimere le proprie opinioni e proteste con la partecipazione dello Stato, senza, però, che quest’ultimo eserciti alcuna ingerenza, altrimenti inaccettabile.
Le Autorità con il proprio intervento dovrebbero, solo, poter assicurare la manifestazione del pensiero secondo le garanzie e i limiti sanciti dalla Costituzione. Probabilmente è l’unico rimedio che permetterebbe di abbandonare l’idea che Internet sia considerato una sorta di law-free zone.
Cass Sunstein, dunque, a supporto di uno spazio pubblico, con precisi obiettivi sociali, legittimerebbe l’intervento dei governi come garanzia di un sistema democratico. Ad oggi, questi profili rappresentano pura teoria.
A concretizzarsi, invece, sono stati i rischi che hanno spinto i suoi studi.
In effetti, abbiamo modo di constatare che la rete, mediante l’elaborazione di algoritmi, permette ai propri utenti di reperire tutte quelle informazioni che sarebbero coerenti e connesse con le precedenti ricerche, realizzando, pertanto, sistemi individuali, le cosiddette filter bubbles (“bolle di filtraggio”).
Cosa sono le filter bubbles?

Microcosmi digitali, in cui sfruttando le informazioni dell’utente, si tende ad isolarlo da chi presenta e manifesta interessi diversi. La rete supporta la creazione di ambienti chiusi, ossia, quel terreno fertile per la proliferazione di informazioni insensate. Pertanto, il dialogo virtuale esiste solo all’interno dei singoli gruppi e mai tra gruppi chiusi. Ogni microrealtà diviene detentrice di fonti di informazioni che si autoalimentano.
Accedendo ai vari social network si può facilmente constatare come, in questo nuovo mondo iperconnesso, sia in corso un fenomeno di diffusione virale di informazioni, intenzionalmente o involontariamente fuorvianti e che istigano alla violenza e all’odio.
Sebbene sembrerebbe assurdo, per chi ancora coltiva un pensiero critico, assistiamo ad una vera e propria involuzione culturale. Siamo protagonisti di un’era che potremmo definire di “post-verità” caratterizzata dalla sfiducia dei giudizi formulati da esperti del settore, e, dalla presunzione di conoscenza fondata esclusivamente sull’esperienza personale.
Perché tali fenomeni sono pericolosi per la democrazia?
Tutto ciò che rende pericolosa la convivenza pacifica tra consociati crea un pericolo per la democrazia.
La democrazia esiste se i cittadini vogliono che essa esista. Oggi, la rete è il mezzo per eccellenza in cui si pratica la comunicazione, la formazione e il consenso, quindi se essa si trasforma in uno strumento di disinformazione, si può convenire, pacificamente, a pensare a degli scenari disastrosi.
La storia insegna che l’ascesa dei più grandi regimi totalitari fu dovuta essenzialmente alla proliferazione di teorie infondate.
Una comunicazione digitale irresponsabile costituisce il campanello d’allarme di un clima antidemocratico, ma questo non vuol dire escludere a priori l’affermazione della democrazia elettronica, ricordandoci, infatti, che durante il nazismo la propaganda non si realizzava mediante strumenti digitali.
La democrazia non è un potere capace, solo, di decisioni buone, così come, buone non sono tutte le decisioni democratiche. La scarsa qualità dell’informazione ha sì delle ripercussioni, ma non è da sola capace di negare la democrazia. La democrazia potrebbe considerarsi danneggiata solo qualora la comunicazione in rete non ammettesse conflitto e/o dissenso.
Dalla scarsa qualità del messaggio politico e dello stile comunicativo, ne consegue il fallimento del dialogo ragionato, quindi di quella che definiamo democrazia deliberativa.
Prossimamente proveremo ad analizzare le diverse manifestazioni di partecipazione democratica digitalizzata.