Alcune persone vivono sensazioni di profondo dispiacere e sconforto quando un oggetto in loro possesso considerato “di valore” dalla società viene smarrito, rubato o danneggiato. Questi oggetti possono servire per lavorare e avere una funzione pratica evidente: è il caso di telecamere, computer portatili, registratori e così via. Questo dispiacere, che spesso sfocia in paura e rabbia, deriva dal fatto che diminuiscono le risorse a disposizione per sopravvivere in società.
Esistono, però, anche oggetti “di valore” che servono solo per creare un’idea di potere, di benessere e di ricchezza: i cosiddetti “beni di lusso“.
Oggetti molto costosi quali orologi, giacche, cravatte, pellicce, collane, orecchini, bracciali, borse, scarpe e così via, non hanno necessariamente una funzione pratica immediata. Tuttavia, secondo alcuni teorici di economia, questi contribuiscono a creare “un’idea di ricchezza che tende a produrre ricchezza“. Lo stesso concetto si trova esemplificato nella commedia inglese “The Million Pound Note” (1954), dove il protagonista, detentore di una banconota da un milione di sterline, riceve crediti, regali e attenzioni da parte di tutti per il solo fatto di possedere una banconota dal valore così alto.
Nonostante, quindi, la perdita o il danneggiamento di questi beni non impedisca lo svolgimento della propria attività lavorativa, il soggetto prova spesso sensazioni di paura e rabbia perché vede ugualmente ridotte le proprie risorse per sopravvivere in società.
Come ha insegnato Carlo Borghero, professore ordinario di Storia e Filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma e autore del libro “La polemica sul lusso nel Settecento francese” (sotto, in foto), il concetto di lusso, dal punto di vista etimologico, descrive l’uscita dell’uomo dallo “stato di natura” di cui parlava Rousseau (1712 – 1778): il sostantivo latino “luxus“, infatti, da cui la parola “lussazione”, indica dal punto di vista anatomico l’uscita della testa di un osso dalla sua cavità. Il concetto è esemplificato dall’immagine del bambino che in una grande tavolata getta furtivamente il cibo sotto il tavolo per far credere ai genitori di averlo ingerito.

I beni di lusso, di fatto, servono ad altri esseri umani per creare ed alimentare l’idea di potere. È per questa ragione che i ceti dominanti della Francia pre-rivoluzionaria, ossia famiglia reale, clero e nobiltà, avevano scritto le cosiddette “leggi sul lusso“: impedire ai ricchi borghesi di sfoggiare oggetti di lusso in luoghi pubblici significava evitare che apparissero come una valida alternativa ai potenti reggenti.
I beni di lusso hanno, quindi, una funzione evidente nell’individualismo capitalistico di origine borghese, perché contribuiscono all’accumulo di ulteriori ricchezze, che redistribuite nella società attraverso donazioni o posti di lavoro creano ed alimentano a loro volta una struttura gerarchica di potere e consenso. E secondo Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.) la beneficienza è possibile solo con la presenza della proprietà privata (“Politica“).
Anche nel comunismo, però, nonostante il concetto di possesso venga fortemente dimensionato e – quantomeno idealmente – tutti possiedono tutto ed in egual misura, i beni di lusso vengono solitamente utilizzati dalla classe dirigente per distinguersi da chi non ha il potere.
A prescindere dalla situazione politica e culturale in cui si vive, resta comunque il fatto che, come diceva già Aristotele, “l’avere” non può descrivere completamente il soggetto, perché si tratta solo di una delle dieci categorie di predicati del pensiero umano, uno dei dieci modi attraverso i quali descriviamo le cose nel mondo, la sostanza (“Metafisica“).
Questo punto viene troppo spesso dimenticato oggi, perché nella società dei consumi più si ha, più si ha valore. E questo tipo di giudizio assume spesso le forme di una ridicola guerra tra poveri che lottano nel tentativo di distinguersi l’uno dall’altro sulla base di quello che possiedono, finendo per isolarsi l’uno dall’altro (il cosiddetto “individualismo“).
Diverso è lo scenario disegnato da Platone (428/427 a.C. – 348/347 a. C.), che arrivò persino a teorizzare il comunismo delle donne e dei figli al fine di creare un’idea più forte di Stato e di Società: tutti possono andare con tutti e i figli vanno mischiati ed allevati tutti insieme, di modo che nessuno sappia chi è figlio di chi e tutti possano amare e rispettare il prossimo come loro consanguineo (“Repubblica“).