Il termine aristotelico per descrivere l’anima, tra l’altro, è “Psyché”: non l’anima veicolo che comanda il corpo, ne è estranea ed è rispetto ad esso qualitativamente distinta, concetto cristiano nato dalla fusione delle categorie platonico-aristoteliche greche con il concetto di carisma proto-cristiano di matrice medio-orientale (il “cháris”, ossia “grazia”, ossia “dono” dell’essenza divina che invasa ed ispira gli uomini con la forza dello Spirito Santo).
Per anima Aristotele intende la materia organica stessa, dotata di una tendenza interiore verso un fine che invece nella materia inorganica è assete: l’istinto di sopravvivenza, quella forza che porta le componenti del corpo ad organizzarsi in maniera funzionale: l’enérgheia, l’atto, il punto finale, la compiutezza e perfezione, ciò cui il corpo, pura potenzialità (dunamis), tende per realizzarsi.
Potrebbe essere questa una delle ragioni per cui, al giorno d’oggi, molte persone soffrono di diverse patologie. Il neurologo austriaco ed ebreo Sigmund Freud (1921 – 1939) aveva intuito che l’isteria nasceva dalla repressione sessuale. Se pensiamo a quanto, da un lato, il sesso è vissuto come un tabù a livello sociale e professionale (a meno che non si lavori nel mondo dell’erotismo, della pornografia, della pubblicità o dell’arte), e dall’altro ciò a cui tede naturalmente l’essere umano, la presenza di stati di frustrazione, repressione e probabilmente conseguenti comportamenti considerati asociali, antisociali o ipersociali non dovrebbe stupire.
La cultura, insomma, sembra remare contro la natura, il che suona un paradosso considerando che la cultura è il prodotto stesso della natura umana: l’ artificiale, infatti, per è naturale per l’uomo. Non stupisce quindi che la felicità di molti esseri umani sia strettamente connessa all’esercizio del senso del tatto, nonostante siano ancora in troppi, soprattutto tra i letterati e topi da biblioteca, a non averne afferrato l’importanza.