In un mondo sempre più interconnesso, né il privilegio né la povertà possono essere contenuti all’interno dei confini, costruiti ad hoc per mantenere uno specifico status di potere. Se possiamo far liberamente circolare le merci, quale diritto si può mai esercitare nel restringere la libertà di movimento agli esseri umani?
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Le migrazioni sono state da sempre il principale motore di rinnovazione del mondoe, insieme, una caratteristica “idiosincratica” dell’essere umano. Che vi siano opinioni “favorevoli” o “contrarie”, di “destra” o di “sinistra” un fatto risulta chiaro: non possiamo vietare alle persone di muoversi come non possiamo ordinare al cuore di smettere di battere.
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Ormai, sono milioni in tutto il mondo le persone impegnate a dare una svolta alla propria vita. L’aspetto esistenziale della questione passa spesso inosservato a favore di analisi macro ( l’invasione di massa ) e aspetti micro ( l’immigrato che ruba il posto di lavoro ) che rispecchiano una tendenza europeista volta al consolidamento e alla difesa del proprio territorio o, per ricordare le parole di Cohen, per mantenere il ruolo di dominio svolto da “Schengenlandia”, definita altre volte anche “Fortezza Europa”.
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I tradizionali approcci di studio, specialmente quelli centrati sul versante economico, tendono ancora a limitare il proprio campo d’indagine alle disparità delle condizioni socio-economiche tra paese di partenza e paese di arrivo. In tal senso si esprime il modello del “push and pull factors” per cui i flussi migratori sarebbero dovuti principalmente ad una situazione personale e sociale economicamente precaria che spingerebbe a ricercare il proprio benessere in altri paesi.
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“Non si può fare sociologia dell’immigrazione senza delineare, allo stesso tempo e allo stesso modo, una sociologia dell’emigrazione. Immigrazione qui ed emigrazione là sono due facce indissociabili della stessa realtà, non possono essere spiegate l’una senza l’altra. Queste due dimensioni dello stesso fenomeno non sono separate e rese autonome che per mezzo di una decisione” (Sayad, 2004).
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Prima di arrivare in Italia, gli immigrati abbandonano un luogo geografico ben preciso entro cui prende forma una specifica “progettualità migratoria” legata a fattori psicologici e sociali che rendono peculiare ogni singola storia personale.
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Prendere in considerazione l’esperienza dell’emigrazione significa, dunque, porre attenzione non solo alla società che accoglie il migrante ma anche alla società d’origine. Il periodo di immigrazione costituisce infatti solo una fase nella quale possiamo individuare sia variabili d’origine relative all’insieme di caratteristiche , disposizioni e atteggiamenti psico-sociali che fanno parte del migrante fin dall’inizio del suo percorso, sia variabili di conclusione relative cioè all’insieme delle caratteristiche del contesto di arrivo.
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Solo così possiamo scoprire che “l’emigrante non è solo Enea che fugge da Troia in fiamme portando con sé come unico patrimonio il carico delle generazioni passate e future, ma è spesso l’Ulisse dantesco che in modo temerario intraprende un viaggio oltre i confini di ciò che è noto, spinto da una forza e da una tensione interiore che sono espressione del desiderio insito nell’uomo di esplorare, di conoscere, di mettersi alla prova”(Gozzoli e Regalia, 2005).
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