Nella filosofia dell’informazione il termine infosfera è sinonimo di essere, alludendo sia al singolo individuo, che all’intero spazio che include la totalità dell’informazione, tra queste il cyberspazio e i classici mezzi di comunicazione.
Le ICT (Information and Communications Technology, ossia le Tecnologie dell’informazione e della comunicazione) nel processo di digitalizzazione hanno reso impossibile il diritto di ignorare, accrescendo così l’accesso alla conoscenza, ma esigendo nel contempo una maggiore responsabilizzazione dell’umanità.
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad una frantumazione della linea di demarcazione tra l’analogico e il digitale. L’uomo non è più nella posizione di scegliere cosa, quando e come essere presente nella realtà digitale, ma è parte di esso come unità interconnessa ad altre, colonizzando e abitando lo spazio da lui creato.
In questo processo di mutazione, la tecnologia fa da motore.
Le ICT sono state perfezionate al punto tale da non avere più alcuna consapevolezza di essere immersi in uno spazio interconnesso. Come spiega il filosofo Luciano Floridi in “La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo”, l’informatizzazione rende meno visibile la distinzione tra online e offline, e si può parlare in effetti di esperienza Onlife. Tutto inizia ad essere privato della propria connotazione fisica, rendendo i vari esemplari interscambiabili.
Sfortunatamente, noi generazione di passaggio tra la società storica ed iperstorica, non ci troviamo a passo con questo modo di concepire la realtà, che negli ultimi anni ha visto capovolgere le strutture sociali del nostro paese. Potrei definirla “emergenza culturale e sociale”.
Per fare un esempio, tutti noi conosciamo Facebook, un social network con fini commerciali, nato dall’idea di uno studente di Harward nel 2004, Mark Zuckerberg, con lo scopo di metterti in contatto con amici e non, vicini e lontani. Nel tempo si è trasformato in un pianeta virtuale, che racchiude una buona fetta di popolazione mondiale.
Tralasciando il divario socioculturale che esiste tra paesi industrializzati e non, faccio riferimento ai paesi non dotati ancora di una rete internet, destinati ad estinguersi come le società preistoriche, si è radicata la necessità di traslare le regole che qualificano una società come civile in un mondo privo di strutture fisiche come quello digitale.
Facebook insieme ad altri canali, permettono, inoltre, di analizzare come le ICT siano fondamentali nel creare la propria identità virtuale e come tale identità si muove nella società iperstorica.
Ci soffermeremo per il momento ad analizzare quest’ultimo aspetto, lasciando la complessa tematica della traslazione delle regole in una società senza confini ad un momento successivo.
Nei secoli filosofi e psicologi hanno contribuito al dibattito sul concetto d’identità, che assume sfaccettature diverse a seconda che lo si accosti agli studi filosofici, matematici e sociologici. Abbandonando il discorso matematico in cui l’identità si accosta all’uguaglianza dei termini, nella filosofia, il termine dal latino identitas, a sua volta derivato da idem, “la stessa cosa” e dal greco tautotes, è la prerogativa che ognuno di noi ha di essere uguale a sé stesso e distinguibile dagli altri.
In sociologia, l’identità è l’idea che ognuno ha di sé in continua evoluzione, assorbendo gli impulsi della realtà circostante. Da un lato è possibile cogliere un concetto immutevole e dall’altro un concetto in divenire. Di certo il discorso è molto più complesso di quello che appare, considerando che ciascuno di noi non ha piena coscienza e conoscenza delle qualità che lo identificano rendendolo unico e insostituibile, un discorso che risiede negli albori della nostra esperienza di vita.
Diversi gli interrogativi che nei secoli hanno accompagnato i filosofi: Pedro Calderón de la Barca (1600 – 1681) accostava la vita ad un possibile sogno domandandosi chi è quell’Io che sogna sé stesso; Cartesio (1596 – 1650) dinanzi al dubbio sull’esistenza di ciò che vede, trova la soluzione nel cogito ergo sum, “penso dunque sono”, in cui chi dubita e chi pensa non può altro che essere l’Io; per poi vedere la dissoluzione dell’identità con Luigi Pirandello (1867 – 1936).
Nella filosofia moderna però, il concetto di identità sembra essersi accostato più ad una questione di natura sociologica. Il dramma dell’uomo moderno, quindi, è aver perso la nozione di sé stesso e gli studi antropologici, sociologici non fanno altro che accentuare questo aspetto.
Se siamo la risposta o meglio dire l’effetto di cause esterne, svuotiamo di essenza il concetto di identità, come se ognuno di noi fosse un vaso di argilla che prende una diversa forma in base al momento, luogo e storia.
La questione che oggi sembra accompagnare il dibattito, non implica solo ed esclusivamente il concetto di identità mutevole, ma come la trasformazione dell’ambiente circostante incida sul concetto di identità (identità virtuale).
Le ICT incidendo nella comunicazione con l’altro, gravano fortemente sulle nostre identità, in particolar modo nella visione che abbiamo di noi attraverso l’altro. La questione nonché nodo cruciale è credere alla sussistenza di un divario tra chi e cosa siamo con l’altro sul piano fisico e tra chi e cosa siamo con l’altro nel mondo virtuale.
L’identità virtuale mostra un fenomeno mai visto nella storia dell’umanità, ogni essere umano sembra aver trovato finalmente risposta ad uno dei temi filosofici più travagliati nei secoli. Ciascuno ha la piena consapevolezza del sé, impegnandosi ad aggiornare continuamente quel sé sociale dalla quale trae la percezione che ha di sé come individuo.
Viviamo in una specie di bolla virtuale in cui intratteniamo tutte le nostre relazioni, ma analizzando attentamente il contenuto, possiamo constatare una derealizzazione totale dell’individuo, dissociato da quella realtà ancora troppo oscura per poter essere compresa.
Gran parte degli utenti hanno la sensazione che il digitale rende giustificabile il libero arbitrio. Nel cyberspazio l’autenticità dell’Io è messa in dubbio, non si parla più di maschera alla Pirandello, che indossiamo per fronteggiare l’adattamento, ma una maschera che consapevolmente costruiamo per dare un’immagine che si discosti dalla realtà fisica, credendo di poter sfuggire a quelle regole su cui regge una società. Una generazione irresponsabile che non ha contatto con il mondo e che ha l’illusione del controllo mediante un click.
I social media sono dei veri e propri laboratori di identità in continua costruzione (identity workshop).
Nel prossimo articolo parleremo del compromesso della società iperstorica e del diritto di privacy.
Good post however I was wanting to know if you could write a litte more on this topic? I’d be very grateful if you could elaborate a little bit further. Bless you!