lunedì, Gennaio 13, 2025
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    IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA – Con la dottoressa Homira Rezai sul futuro delle donne afghane

    L’11 settembre del 2021 all’Università di Kabul si presentano circa trecento donne completamente vestite di nero. L’iniziativa pare organizzata dai Talebani e dovrebbe essere la risposta dell’Emirato alle numerose manifestazioni che la settimana precedente avevano affollato le strade di diverse città dell’Afghanistan. Secondo i Talebani, infatti, le donne dell’Università di Kabul sarebbero lì per esprimere il loro sostegno all’eliminazione delle classi miste e più in generale al nuovo regime appena instaurato. Mentre alcuni studenti dell’università di Kabul fanno notare come non avessero mai visto quelle studentesse a frequentare le lezioni prima d’ora, diverse attiviste afghane riempiono i social network con foto di abiti tradizionali colorati e pieni di vita, affermando di non sentirsi assolutamente rappresentate dal nero delle vesti di quelle donne. 
    Fra queste c’è la dottoressa Homira Rezai, attivista Hazara che da anni si espone in prima persona con tenacia e coraggio per difendere i diritti del suo popolo. Homira, già presidente dell’Hazara Committee in UK e scienziata medica, è la persona migliore per parlare del ruolo delle donne Hazara nella società e del futuro delle donne afghane in generale. 

    Già durante i regni dei primi sovrani Pashtun Durrani, gli Hazara vengono descritti come una comunità “dal futuro periglioso” soprattutto in quanto “i loro uomini e le loro donne sono sullo stesso livello, collegati gli uni agli altri”. L’esempio della donna Hazara, che combatte e che decide per tutta la comunità, spaventava i sovrani tanto quanto oggi spaventa i Talebani. Si può dire che una delle ragioni della persecuzione degli Hazara sia proprio il ruolo che danno alle donne? 

    Gli hazara hanno sempre dato un ruolo importante alle donne. Anche durante il regno di Abdur Rahman Khan, c’erano donne Hazara che guidavano veri e propri eserciti, che gestivano intere comunità e ne risolvevano i problemi. Ci sono varie testimonianze e fatti documentati che dimostrano l’esistenza di queste donne, perché la persecuzione degli Hazara ha radici storiche, è cominciata tanti secoli fa. Secoli di schiavizzazione e uccisioni di massa non sono bastati per farci arrendere, gli Hazara hanno sempre resistito molto bene, nonostante la propaganda pashtun tentasse di silenziarli e deumanizzarli. Questa Resistenza non è guidata soltanto da uomini con le armi: ci sono tanti leader donne che hanno permesso a comunità intere di concentrarsi sull’educazione e sulla formazione. La prima governatrice donna, in Afghanistan, è stata Hazara. Il primo incarico ministeriale femminile è stato per una donna Hazara. La prima atleta olimpionica della storia dell’Afghanistan è stata Hazara. 

    Il rispetto dei diritti femminili, a differenza di altri gruppi etnici, nasce già dal contesto familiare. È giusto? 

    Homira insieme all’ Hazara Committee in UK

    Ti parlo della mia esperienza personale: mio padre e mio nonno hanno dovuto lasciare l’Afghanistan e sono cresciuta in una famiglia dove tutti i miei cugini erano maschi, oltre me e le mie quattro sorelle. In Afghanistan è difficile in un villaggio senza una figura maschile, ma mia madre mi ha sempre supportato e sostenuto. Mi diceva sempre: “Tu sei dieci volte meglio di tutti quegli uomini là fuori!”. Questa mentalità, questa spinta mi ha aiutato tantissimo a raggiungere tutto quello che volevo. La forza delle donne, nella mia famiglia, è presente da generazione in generazione. Mia nonna, mia mamma, le mie sorelle, la passeremo da una figlia all’altra ed è un’eredità unica degli Hazara in Afghanistan. Nella storia dell’Hazaristan le donne sono sempre state investite di ruoli fondamentali, sono state abituate a gestire situazioni complesse, ad avere potere e a compiere decisioni importanti, riguardanti l’educazione della famiglia e la casa, le tradizioni delle nostre comunità. Hanno spesso guidato ed intrecciato tutte le relazioni famigliari. 

    L’11 settembre circa trecento donne sono state “invitate” dai Talebani presso l’Università di Kabul per dimostrare il proprio appoggio all’Emirato Islamico, all’Hijab e per sostenere il provvedimento talebano di eliminazione delle classi miste. Le foto circolate sui social network hanno mostrato una platea di donne completamente coperte di nero. Molte donne afghane di diverse etnie hanno risposto di non sentirsi assolutamente rappresentate da quelle donne e da quegli abiti, da non considerare in alcun modo come un simbolo nazionale. 

     La nostra identità di Hazara è stata colonizzata. Crescere in Afghanistan significava vestirsi da pashtun, o chi era più ricco comprava vestiti pashtun. Negli ultimi vent’anni, però, ci siamo riappropriati fortemente della nostra identità, abbiamo cercato di riportare indietro i nostri vestiti tradizionali. Prima non era affatto comune mostrare il proprio vestito tradizionale Hazara. Ricordo che quando sono arrivata in UK l’ho portato con me, perché sono sempre stata molto orgogliosa di essere Hazara. Quando lo mettevo le persone mi guardavano in modo strano, come se volessero chiedermi perché indossavo quel vestito. Oggi invece ogni Hazara ha il suo vestito tradizionale. Per noi è molto importante preservare la nostra identità, difenderla, non permettere che venga colonizzata nuovamente. La potenza visiva dei colori che indossiamo, i dettagli fatti a mano con cura maniacale, sono cose che mi emozionano e stupiscono sempre. Se ci si mette a lavorare ad un vestito a tempo pieno, ci vuole una gran quantità di tempo. Forse addirittura un mese, ma nonostante questo le donne continuano a farlo. Penso a mia madre, che quando torna dal lavoro si mette a lavorare a mano. È il valore della nostra cultura, passa da donna a donna, da madre a figlia, cerchiamo di farla circolare e di preservarla creando fantasie per i vestiti tradizionali. Le foto che circolano sui social network di Bamiyan o di Daykundi mostrano donne con abiti sempre coloratissimi, non vedrai nessuna di loro vestita di nero. Quando ero in Afghanistan, per esempio, vestivo di nero soltanto a scuola, ed era un’uniforme. In generale, le donne vestono di nero quando vanno ai funerali. I nostri vestiti tradizionali sono sempre stati e saranno pieni di colori: mettono in risalto la voglia di vita delle persone. Abbiamo lavorato tanto a lungo per riportare indietro la nostra identità. 

    Durante le manifestazioni a sostegno dell’Afghanistan di queste settimane, gli attivisti Hazara sono stati spesso “silenziati” e accusati di minare l’unità nazionale del paese. Mi ha colpito particolarmente un cartello di una manifestazione in America: c’era la celeberrima fotografia della “Afghan girl” di McCurry e uno slogan sulla bellezza tipica dell’Afghanistan. Le attiviste Hazara hanno giustamente fatto notare che anche in nome di quella bellezza tipo gli Hazara vengono discriminati da secoli per le loro caratteristiche fisiche. Pensi che il pretesto dell’unità nazionale sia figlio dell’ignoranza o della mancata capacità di accettare responsabilità storiche?

    Credo che sia un po’ entrambe le cose. Oltre alla nostra cultura, anche la nostra bellezza è stata colonizzata. Gli Hazara sono stati fatti sentire brutti per secoli: occhi piccoli, nasi piccoli, caratteristiche fisiche che non ci renderebbero belli. Lo hanno imposto, istillato a forza nella nostra cultura: purtroppo ci sono molti Hazara che scelgono la chirurgia estetica, che cercano di cambiarsi occhi e naso per non essere più discriminati. È una conseguenza del fatto che secoli di discriminazioni hanno fatto perdere la fiducia a molti, soprattutto alle donne. L’Afghanistan è un paese pieno di differenze e complessità, non c’è una sola etnia, non ci sono tratti somatici comuni. Per questo è impossibile dire: “questa è bellezza, questa è la foto che rappresenta la bellezza afghana”. Non si possono rappresentare più gruppi etnici con un unico standard di bellezza, perché questo crea delle conseguenze. Nei nostri confronti, questa campagna denigratoria è nata più di duecento anni fa. Quando si parla di unità nazionale lo si fa solamente per coprire le atrocità commesse dai pashtun contro gli Hazara o altri gruppi etnici. Quando dicono “non puoi parlare di etnie e problemi derivanti da tensioni etniche perché altrimenti distruggi l’unità nazionale” lo fanno per non far andare a fondo. Se analizzi ogni situazione in Afghanistan, realizzerai che tutti i più grandi problemi della società e della politica afghana provengono tutti dal discorso etnico. In più fare un discorso del genere dimostra anche che i pashtun hanno sempre avuto il potere. Per questo non vogliono, perché li responsabilizza. Se dovessero ammettere di aver sempre avuto il potere, dovrebbero anche ammettere quello che hanno fatto agli Hazara per mantenerlo, tutte le atrocità che hanno commesso. Si nascondono sempre dietro l’unità nazionale affinché nulla di tutto questo venga a galla. Così possono silenziarci. Ma io non mi sento afghana: se fossi afghana, se davvero potessi identificarmi come tale, allora la mia vita non sarebbe in pericolo in Afghanistan in quanto Hazara. Io credo che ci sia sicuramente una componente di ignoranza, non vogliono ammettere che se sei un Hazara la tua vita è cento volte più a rischio rispetto a quella di un pashtun. Si torna sempre sullo stesso punto: se lo ammettessero, poi dovrebbero analizzare la situazione sotto diversi punti di vista e questo, prima o poi, toglierebbe il potere dalle loro mani. Per questo gli Hazara continuano a morire in Afghanistan: se non ammetti il problema e non cerchi di risolverlo come tale, se censuri l’identità delle vittime, come potrai gestire l’odio etnico? Come potrai impedire che gli Hazara vengano uccisi solo per la loro etnia? Sì, tutti gli afghani sono a rischio, ma per esempio la Sayyd al Shuada è stata attaccata perché era una scuola Hazara. In quella zona di Kabul, interamente popolata da Hazara, ci sono stati trenta attentati in meno di un anno. Questo non succede nelle aree pashtun. Di certo c’è ignoranza, ma indubbiamente è anche volontà di mantenere il potere e non andare a fondo. 

    Secondo te è possibile rintracciare rimanenze di pensiero coloniale nei discorsi di alcuni giornalisti o analisti occidentali, soprattutto quando si parla del futuro delle donne afghane? 

    Indubbiamente è così, in molti stanno facendo campagne per portare via le persone, ma se porti via 40 milioni di persone, il paese non esiste più e questo non è possibile. Bisogna essere in grado di aiutare gli afghani a resistere, a sostenerli per davvero, bisogna fare in modo che le donne in Afghanistan possano salvarsi.  La comunità internazionale deve trovare una soluzione affinché le donne afghane continuino a contare e rimangano al potere, ma in Afghanistan. Perché i talebani stanno utilizzando violenza, minacce e qualsiasi cosa in loro potere per silenziare queste persone, ci sono già le prime di numerose violazioni di diritti umani. Le donne afghane hanno bisogno di supporto internazionale, hanno bisogno dell’aiuto delle attiviste dei diritti delle donne in occidente, hanno bisogno di non essere abbandonate. Dov’è l’attivismo di molti ora? Ci sono bambine di dodici anni violentate in Afghanistan, e non riesco proprio a capire dove siano tutti coloro che avrebbero potere di mettere i Talebani sotto una grande pressione, ma che rimangono in silenzio. 

    Come attivista Hazara, a causa del tuo grande impegno e della tua forte esposizione, ricevi molto spesso insulti e minacce. Credi che sia più perché sei Hazara o perché sei una donna? 

    Entrambe, il fatto che io sia Hazara e che io utilizzi la mia voce li fa arrabbiare, li spaventa, perché per loro gli Hazara devono essere questo gruppo debole di persone che non hanno diritto ad avere voce. Mi è capitato di sentire frasi come: “quando ero in Afghanistan gli Hazara erano i miei schiavi, come ti permetti a parlarmi così?”. Questo dimostra la mentalità che queste persone si portano ancora dietro e spiega anche perché impazziscono di rabbia quando un Hazara, specialmente una donna Hazara, li affronta, parla loro con fermezza e utilizza la logica in un dibattito con loro. Molte di queste persone non considerano le donne come parte integrante della società, le considerano meno che esseri umani. Devono ancora abituarsi che le donne Hazara vogliano discutere senza alcuna paura. È per questo che arrivano a minacce e insulti. 

    Homira Rezai

    Ho spesso letto molti afghani sostenere che saranno i millennials a dover affrontare e prendere in mano il futuro del paese e che, a differenza di vecchi leader legati a vecchi retaggi, forse potranno finalmente cambiare qualcosa. Da attivista, come pensi che essere millennial possa fare la differenza in questa battaglia? 

    Essere un millennial vuol dire anche avere accesso a educazione ed informazione, qualcosa che i vecchi leaders non hanno avuto. Un sacco di questi leader erano effettivamente analfabeti, avevano molto potere e magari avevano anche una buona attitudine al comando, ma non necessariamente avevano accesso ad una serie di informazioni fondamentali. Essere un attivista e un millennial vuol dire avere il privilegio di avere accesso alle informazioni, studiare, conoscere, cercare di capire la complessità della situazione, e fare campagna con le persone giuste. Essere un millennial in occidente vuol dire avere la capacità linguistica di lottare per i diritti della tua gente, essere in grado di capire la situazione da una prospettiva diversa. Io voglio proteggere i diritti delle generazioni future, e se non faccio qualcosa la situazione difficilmente cambierà. Anche essere un millennial in Afghanistan gioca un grande ruolo: negli ultimi 20 anni gli Hazara e le donne hanno avuto l’opportunità di studiare, di lavorare, hanno un grande ventaglio di competenze che sarà molto utile durante la resistenza ai talebani. 

    Qual è il valore che dai a questi vent’anni? Ed è vero che in molti casi gli Hazara hanno dovuto costruire infrastrutture autonomamente, senza l’appoggio del governo?

    Nel mio villaggio è così. Quando sono tornata in Afghanistan, nel 2010, molte persone mi hanno parlato di come rimanevano bloccate nel villaggio durante l’inverno o di come non avessero ancora accesso a servizi medici. Sono andata da mio padre e ho detto: “c’è qualcosa che possiamo fare per il nostro villaggio?”. Abbiamo quindi pensato di costruire una clinica, con l’aiuto di tutte le persone del mio villaggio che vivevano fuori. Mio padre ha chiamato tutti gli anziani del villaggio e ha detto “vogliamo creare una clinica”, loro hanno accolto con grande felicità questa opportunità, ci hanno parlato del problema della mortalità infantile e delle numerose complicazioni che affrontavano le donne durante il parto. Abbiamo chiamato i nostri parenti in Austria e in Australia e abbiamo detto loro: “quanto potete donare?”. Tutti hanno donato quello che potevano. Abbiamo raccolto i soldi e ora abbiamo una clinica funzionante con medici e dottori. Questo è un esempio dell’impegno concreto di come gli Hazara ragionano per ricostruire la nostra comunità. Le persone, per evitare di rimanere bloccate d’inverno in macchina, hanno raccolto i soldi e hanno costruito autonomamente le strade. Questo siamo noi Hazara, facciamo lo step successivo e miglioriamo sempre con la nostra forza. Nei villaggi non c’erano librerie o campi sportivi, la comunità della diaspora Hazara ha raccolto i soldi e li ha fatti costruire, nulla è stato fatto dal governo. La maggior parte dei progetti che conosco sono finanziati in questo modo: per esempio la comunità di Manchester sta facendo costruire una clinica nel distretto di Pato. Sono davvero fiera di come tutte queste persone si muovano insieme per costruire un futuro luminoso per la nostra comunità. Abbiamo costruito anche un sacco di scuole ed università private. A Kabul, ma in tutto l’Afghanistan, se un un’università è Hazara, il prestigio e la credibilità della stessa sono enormi, la qualità dei servizi non è questionata perché tutti sanno che gli Hazara offriranno il miglior sistema di educazione possibile. Quando le università sono guidate da pashtun, invece, la credibilità crolla. Vent’anni fa non avevamo il diritto di definirci Hazara e di avere un lavoro. Ecco dove siamo adesso. E se è vero che gli Hazara, in alcuni casi, non sono uniti e hanno ancora problemi di questo tipo, questo accade soprattutto a causa delle persecuzioni degli ultimi due secoli. Gli Hazara erano molto uniti, vivevamo in una nostra regione autonoma col nostro emiro. Duecento anni di discriminazione, schiavitù e genocidio hanno sicuramente creato un sacco di crisi, ma a prescindere da questo, i passi che abbiamo compiuto in questi vent’anni anni sono enormi e non dovrebbero mai essere screditati solo per alcuni problemi interni, perché in Afghanistan funziona ovunque così. Il conflitto non è solo fra Hazara e pashtun, ma anche fra pashtun e pashtun, come dimostrano per esempio gli stessi Talebani. La voce che guida l’Afghanistan è pashtun, fin quando non ci sarà un fronte unico che ci rappresenterà tutti, i conflitti continueranno, anche all’interno delle famiglie.

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