giovedì, Ottobre 10, 2024
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    La crisi del modello democratico

    Le statistiche dell’ANSA sull’affluenza alle urne dal 1979 ad oggi mostrano come negli ultimi decenni si sia affermato il fenomeno dell’astensionismo, chiara dimostrazione di una vera e propria crisi della democrazia rappresentativa.

    In effetti l’insoddisfazione dei cittadini verso i propri rappresentanti è ormai tangibile.

    In verità, nel cercare di comprendere un simil fenomeno, è necessario esaminare attentamente tutta quella serie di fattori, che concatenandosi nel tempo, hanno minato le strutture democratiche e conseguentemente il senso di partecipazionismo.

    Si è assistiti inermi ad una vera e propria regressione oligarchica. I partiti hanno perso il loro ruolo sul territorio, infatti gli iscritti e gli elettori difficilmente mediante essi riescono a partecipare attivamente alla vita politica. Tali organizzazioni politiche, che da sempre hanno popolato la democrazia rappresentativa, si sono trasformati in gruppi guidati da leader con struttura autocratica, perdendo, così, nel tempo il loro valore di organizzazione pluralistica a tutela di precisi interessi collettivi.

    Si comprende allora come i parlamentari, curanti degli interessi di pochi, una volta eletti godono di un potere rappresentativo debole, e si trovano quindi schiacciati dalle dinamiche del potere esecutivo. In effetti quest’ultimo, ricorrendo continuamente al voto di fiducia, gioca con l’intero organo rappresentativo, che spinto da interessi prettamente individualistici approva pacchetti di legge mal discussi.

    Altro motivo che ha contribuito a lacerare il modello democratico è l’obbligo di rispondere alle istituzioni sovranazionali di governo dell’economia, che dettano a livello internazionale i punti sui quali la politica di ogni paese deve direzionarsi per non perdere fiducia sul mercato.

    Nel suo saggio dal titolo “Nella spirale tecnocratica: un’arringa per la solidarietà europea” il filosofo tedesco Jürgen Habermas, annotava come negli ultimi decenni le maggiori decisioni politiche e la stessa individuazione dei membri del governo dipendessero dagli indirizzi delle tecnocrazie internazionali che operano in funzione dei mercati finanziari.

    Habermas, grande difensore di un europeismo democratico, ha evidenziato come nel rispondere agli imperativi di mercato, non si fa altro che espropriare i cittadini del potere democratico, ampliando la netta sfiducia nell’esercizio della sovranità popolare.

    Jürgen Habermas è un filosofo, sociologo, politologo, epistemologo ed accademico tedesco

    In questo clima di crisi democratica, a sostegno di quanto sin qui detto, vi è l’assenza di corrispondenza tra gli interventi della politica e il soddisfacimento degli interessi collettivi. Ecco allora che la complessità del panorama sociale, l’inerzia nell’elaborazione di un programma politico in grado di fronteggiare l’agenda neoliberista e l’assenza di rappresentanza nei settori sociali, sono state le ragioni che hanno generato l’ondata populista che oggi invade la scena politica.

    Pertanto è apparso necessario dare un nuovo volto alla democrazia. Le prerogative per garantire la cura del modello democratico sono: discutere dei problemi principali che affliggono la nostra società e riattivare il rapporto tra cittadini e politica, anche mediante nuove forme di partecipazione.

     E’ stata la natura delle tecnologie digitali, che negli ultimi anni ha contribuito a restituire al popolo quella illusoria sovranità.  In effetti, l’applicazione delle tecnologie digitali ai processi democratici non assicura in alcun modo e nemmeno impedisce che la democrazia funzioni meglio. L’uso delle strutture informatiche non generano soluzioni e non evitano derive antidemocratiche, si tratta esclusivamente di nuove tecniche da adottare nell’esercizio della democrazia.

    Persiste dunque la teoria della democrazia con i propri paradossi e complessità.

    Emblematico a tal riguardo è l’apporto offerto da Gianmarco Gometz, autore del libro “Democrazia elettronica: teorie e tecniche[2]. La prerogativa dell’autore nel suo studio è stata quella di affrontare le potenzialità, i rischi e gli inconvenienti delle tecniche di democrazia elettronica finora sperimentate, arricchendo, conseguentemente, il discorso filosofico per giungere ad elaborare una teoria della democrazia digitale.

    Lo sforzo sarà, allora, riuscire ad elaborare risposte alle questioni di ingegneria istituzionale e costituzionale che vanno nascendo.

    Nel suo lavoro, alimentato da questi obiettivi teorici, l’autore ha seguito un ordine ben preciso:

    • dare una definizione di democrazia elettronica corredata dai diversi usi linguistici con in quale si rimanda ad essa;
    •  analizzare gli obiettivi dei promotori della democrazia diretta, risultata infine utopistica;
    • soffermarsi sulle tecniche di partecipazione democratica digitale finora create;
    • analizzare le diverse tecnologie ad oggi in uso per l’esercizio del voto elettronico, soffermandosi sulle nuove problematiche generate da tali mezzi intorno alla segretezza, alla sicurezza e all’accessibilità.

    Lo stesso ordine che seguiremo noi nel trattare l’istituto della democrazia elettronica rimarcando le eventuali potenzialità e gli innumerevoli dubbi.

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