In questo articolo è contenuto un estratto del primo incontro con Ra Kalam Bob Moses (1948) nel Febbraio 2019 a Quincy, Massachuttes, per Filosofia della Musica (www.filosofiadellamusica.com) e il Trattato (www.iltrattato.com), il contenuto del quale verrà pubblicato integralmente nelle prossime puntate.
Alcune delle caratteristiche dei musicisti di alto livello che colpiscono di più sono certamente il loro livello di consapevolezza, la loro personalità e filosofia di vita.
Sono proprio questi elementi, infatti, tra i tanti, ad averli resi quello che sono. La quantità di ore passate a suonare e a perfezionare la propria arte – da soli e in compagnia – sono state certamente fondamentali. Ma anche la qualità, ossia il modo in cui lo hanno fatto.
Forse era proprio questo che intendeva Trilok Gurtu quando, alla fine del concerto con gli Arké String project a Zafferana Etnea nel 2006, rispose in italiano alla mia domanda “Quante ore suoni al giorno?”: “A volte niente, a volte sempre. Però ho il ritmo sempre in testa”.
Quantità e qualità di ore passate a suonare sono poi elementi a loro volta influenzati da diversi fattori: alcuni oggettivamente predeterminati e immodificabili; altri dipendenti dall’esercizio della propria libertà di scelta, secondo alcuni auto-determinantesi, secondo altri solo illusoriamente tale e anch’essa determinata.
Da una parte le contingenze della vita, l’ambiente, le risorse, il periodo storico in cui si è cresciuti, e tutto ciò che di fatto sfugge oggettivamente al nostro arbitrio (almeno per quanto ne sappiamo) creano in noi stimoli di diversa natura e hanno un ruolo fondamentale nella formazione della volontà. È proprio questo che intendeva Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) quando sosteneva che la volontà è una forza contrapposta alla libertà, insita necessariamente nella natura delle cose. Ed è proprio questo che, per esempio, intendono alcuni psicologi moderni quando sostengono che “l’attrazione non è una scelta”: il mio volere qualcuno o qualcosa non dipende dalla mia volontà.
L’unico modo per esercitare il libero arbitrio, secondo il filosofo prussiano è imporci di “non volere” attraverso un processo di distacco, di astensione. Friedrich Nietzsche (1844 – 1900), suo grande lettore, eliminerà anche questo ultimo “residuo della Cristianità” per ritornare completamente alla Grecità e sostenere che tutto accade necessariamente e non esiste alcun libero arbitrio, neanche per il “non volere”.
Oltre alla volontà di arrivare ad un certo livello artistico esiste poi, dall’altra parte, l’impegno messo per soddisfare la propria volontà. Su questi ultimi temi e sul tema della libertà ci siamo già concentrati in un altro articolo.
Tutti i più grandi musicisti sottolineano sempre l’importanza del modo in cui si suona, oltre a ciò che si suona – del come si vive, e non solo di ciò che si vive, parafrasando il filosofo tedesco Eckhart Tolle (1948).
Abbiamo avuto la fortuna e l’onore di poter discutere questi temi con Ra Kalam Bob Moses nel Febbraio del 2019, a Quincy, a circa 17 km da Boston. Leggendario batterista e percussionista americano di origine ebraica, Ra Kalam è cresciuto a New York nello stesso palazzo di alcuni dei più grandi musicisti della storia: Max Roach (1924 – 2007), Art Blakey(1919 – 1990), Elvin Jones (1927 – 2004) e Abbey Lincoln (1930 – 2010).
Ra Kalam aveva rilasciato nel 2017 due DVD chiamati “Living music”. Entrambi, sia il primo, sia il secondo, si focalizzano interamente proprio sul concetto di musica come vita, sul modo in cui si suona e sul cosa si suona – e, proprio su questo ultimo punto, dà esempi molto dettagliati di come partire da un’idea semplici e svilupparla in maniera organica, simile cioè al modo in cui crescono gli esseri viventi, senza salti, naturalmente e gradualmente. La musica, secondo lui, deve essere viva, vissuta e vitalizzante – e per essere tale deve necessariamente essere cantata e ballata.
Un concetto rivoluzionario, in quanto va oltre i concetti di quantità e qualità esposti da altri musicisti, come per esempio Thomas Lang, che in un suo video risponde alla domanda: “quante ore dovrei studiare al giorno?”.
Quest’ultimo, per esempio, come anche altri (per esempio il grande sassofonista Dave Liebmann nel suo libro The Art of Skill: Establishing the Mindset for Unleashing the Music Inside You), fa riferimento alla piuttosto fortunata regola delle 10.000 ore di Malcom Gladwell, secondo la quale, per raggiungere la maestria in qualcosa, bisogna lavorarci per almeno 10.000 ore – concetto appartenente al paradigma razionalistico dalle moderne teorie di “sviluppo personale” (personal development o self-help).
E, in linea con quanto suggerito da Trilok Gurtu, Ra Kalam non crede affatto che per essere musicisti sia necessario stare ore dietro lo strumento: è possibile cantare e ballare in qualsiasi momento della giornata, perché la musica è vita e spirito, non pensiero.
Anzi, Ra Kalam vede la razionalità come un possibile ostacolo all’apprendimento della musica. Secondo lui, infatti, l’approccio razionale è tipico dell’uomo bianco, che vuole razionalizzare e dominare tutto:
“Ho sempre voluto suonare come un nero, non come un bianco… Ringrazierò per sempre Elvin Jones, Art Blakey, Max Roach, Abbey Lincoln e tutti i grandi musicisti che ho avuto la fortuna di conoscere per tutto quello che mi hanno dato… Alla fine, però, ho dovuto dire loro addio e andare avanti per la mia strada…”
Un concetto, quest’ultimo, molto ricorrente nelle filosofie orientali, in cui si raccomanda di apprendere e poi dimenticare – volendo un po’ simile al nostro detto: “impara l’arte e mettila da parte”.
Durante il nostro dialogo, Ra Kalam sembrava suggerire che nel modo di suonare dei neri sia visibile l’incarnazione dello spirito, della vita, della libertà, del “groove senza ego“; e nei bianchi l’incarnazione della razionalità, del tramonto e di un ego troppo ingombrante e anti-musicale – con le dovute eccezioni ovviamente, perché non ne fa affatto una questione di colore della pelle, ma si basa semplicemente sulla sua esperienza di vita come uomo, musicista e insegnante.
Secondo lui, quando si suona con la testa, ossia pensando – utilizzando cioè la nostra facoltà razionale, matematica, calcolatrice – non si può vivere la musica. L’unico modo per viverla è cantarla e ballarla, restando pienamente presenti e focalizzati sulla musica in sé, evitando di pensare ad altro.
E tantissimi musicisti – come anche esseri umani in generale – cadono troppo spesso in questa trappola: mentre suonano, pensano a cosa fare successivamente o a quali tecniche esibire ad un certo punto dell’esibizione. Il che li porta inevitabilmente a non godere del presente, perché stanno già pensando ad un tempo che non c’è ancora, il futuro, invece di concentrarsi su ciò che stanno facendo in quel momento; e vivere a pieno l’unico tempo vivibile, l‘hic et nunc, il qui e l’ora: l’istante.
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