giovedì, Ottobre 10, 2024
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    La resistenza Hazara nelle parole dell'attivista Basir Ahang

    E’ una stagione di sangue e violenza quella che sta attraversando l’Afghanistan. Diverse agenzie umanitarie continuano a richiamare l’attenzione su un’inevitabile nuova catastrofe umanitaria in arrivo: dall’inizio dell’anno, quasi 300.000 persone sono state sfollate. A pagare il prezzo peggiore sono, come sempre, le minoranze etniche, fra tutte gli Hazara, e le donne, che nei distretti conquistati dai Talebani hanno già dovuto rinunciare a tutte le conquiste sociali ottenute negli ultimi vent’anni. Nel mondo dei media occidentali, dove l’interesse per la questione afghana è rimasto in realtà a lungo sopito, in molti sgomitano per imporre le proprie analisi, che spesso si rivelano confuse ed autoreferenziali. Quello che preferisco fare, è offrire il racconto di questi giorni terribili attraverso le parole di Basir Ahang. Basir è un attivista, giornalista ed attore Hazara, che da anni si batte con forza, orgoglio e soprattutto tanto coraggio per il riconoscimento del genocidio Hazara e per i diritti del suo popolo.

    Basir, dopo settimane di assedio, in questi giorni Talebani hanno intensificato gli attacchi contro la città di Ghazni e i distretti che la circondano. Ghazni è una provincia con molti distretti interamente popolati da Hazara ed è anche la tua terra natia. Puoi raccontarci cosa succede e come vivi questa situazione da lontano?

    “In tutta la provincia di Ghazni sono rimasti soltanto due distretti Hazara controllati dalle forze della Resistenza, i distretti di Jaghori e di Nawur. In quello del Malistan, invece, i Talebani hanno preso il controllo e sono entrati nell’ufficio del governatore. La situazione ora è molto pericolosa per tutti gli Hazara. Da quando la guerra è arrivata nella provincia di Ghazni, ogni giorno sono in contatto con i miei amici di Jaghori e Nawur, prima ho parlato con il governatore di Jaghori. Cerco di ascoltarli, di star loro vicino il più possibile e di dare anche un sostegno morale. Io questa situazione la vivo come un trauma, ma bisogna specificare una cosa: noi Hazara, purtroppo, siamo abituati a viverlo, questo trauma, da sempre. Non finisce mai, passa da una generazione all’altra. Come io non sono mai riuscito a vivere un momento di tranquillità, così anche tutti quelli prima e dopo di me. Siamo condannati, e anche se ogni generazione ha vissuto questo trauma a modo proprio, c’è sempre stato per tutti. In questi giorni, il governo centrale di Kabul ha spesso fatto dei proclami, dicendo che avrebbe aiutato le forze di Resistenza con dei rinforzi.  In tutto l’Afghanistan, i distretti popolati dagli Hazara sono gli unici dove non esiste alcuna base militare, nessuna forza di sicurezza capace di difendere la popolazione dai Talebani.”

    Un gruppo di talebani armati

    Quindi attualmente la Resistenza è affidata alle forze locali di Resistenza?

    “Sì, tutto il peso della guerra è sulla Resistenza. Ho scoperto che, addirittura, gli Hazara si stanno comprando da soli le armi per combattere. Il governo non le fornisce. Inizialmente sembrava favorevole, ma poi hanno fatto capire che sono concentrati a difendere i grandi centri cittadini provinciali. I distretti, ormai, non sono più importanti per loro.”

    E i Talebani sembrano averlo capito. Il metodo che utilizzano per conquistare un distretto pare collaudato: lo circondano assediandolo per giorni, aspettano che i rifornimenti delle forze locali finiscono e poi li costringono ad arrendersi o li uccidono. Il governo è negligente, sembra quasi remi contro. I successi maggiori delle forze di Resistenza ci sono stati, paradossalmente, quando Ashraf Ghani era lontano da Kabul e molti credono che questo sia un fattore decisivo. Come può la popolazione fidarsi di un governo che sembra totalmente incapace di difenderla e che sembra quasi connivente con i terroristi Talebani?

    “I Talebani bloccano le strade, distruggono tutto quello che conquistano. Mettono pressione sulla popolazione civile, con le armi e con la violenza. Hanno l’appoggio di molti funzionari del governo afghano, soprattutto per quanto riguarda l’intelligence e i servizi segreti. Quando attaccano un distretto non pashtun ricevono informazioni logistiche utili per la battaglia: quante persone ci sono in quel distretto, da quante forze di Sicurezza o della Resistenza popolare è difeso, per quanto a lungo possono resistere e che tipo di armi hanno. Quando hanno attaccato il Malistan, sapevano in che orari attaccare: le forze che difendevano il distretto erano sprovviste di visori notturni, utili a portare avanti le operazioni di guerra di notte, perché permettono un’ottima visibilità anche in assenza di luce. I Talebani, invece, li hanno. “

    Chi ha fornito loro questo equipaggiamento? È opinione di molti che sia il Pakistan a finanziare i Talebani, ma è davvero così, oppure è solo un modo di semplificare la questione e togliere le responsabilità agli afghani?

    “In Afghanistan c’è sempre stata questa politica interna: per pulire i crimini dei Talebani, si grida sempre al Pakistan. Ma a fare la guerra, ancora oggi, sono persone locali, afghani. Non si può nascondere questa verità, conosciamo i nomi e da quale distretto vengono. Non sono pakistani: sono afghani e lo sappiamo tutti. I visori notturni sono arrivati qui in Afghanistan dopo l’arrivo delle forze internazionali. Li avevano solo governo ed esercito. Durante il regime di Ghani i Talebani hanno ucciso 70.000 soldati, molto spesso è successo che i terroristi circondassero una base militare e, dopo aver sterminato chi non si arrendeva, prendevano possesso di tutti gli armamenti presenti nella base. Lo hanno fatto anche in altri modi: i governi di Ghani e Karzai non hanno mai imposto controlli ai pashtun che entravano nell’esercito, a differenza di appartenenti ad altre etnie. Bastava parlare pashtu per entrare e in questo modo moltissimi pashtun che vivono dall’altra parte della Durand Line sono riusciti ad entrare nell’esercito. Questa folle etnicizzazione della società in Afghanistan ha reso il governo debole e fragile. E non funziona così soltanto per l’esercito: molti pashtun prendono borse di studio per studiare all’estero non per criteri di merito, bensì solo perché pasthun.”

    Famiglia Hazara in fuga

    È vero che il governo afghano attua una politica specifica sulle borse di studio, anche in questo caso in senso etnico?

    “Sì, e molto spesso nemmeno studiano. Vanno all’estero, come pashtun, solo per fare propaganda. Se mandi un Hazara all’estero con una borsa di studio, di certo, invece, tornerà con un dottorato. Questo è il grande problema dell’Afghanistan: bisogna spiegare alla popolazione che deve studiare, assolutamente. Se molti più pashtun studiassero, sono sicuro che avremmo meno problemi. Certo, dovrebbero farlo con una mentalità aperta: ci sono pashtun che stanno studiando nelle migliori università del mondo, ma la loro mentalità non differisce da quella di Mullah Hibatullah.”

    Esistono persone che in Occidente tendono a giustificare i Talebani. Spesso in funzione antiamericana, sono disposti ad esaltare un gruppo terroristico. Cosa vorresti comunicare a queste persone e come, da attivista Hazara, ti fa sentire ascoltare queste frasi?

    “Penso che quest’onda di propaganda a favore dei Talebani sia iniziata tanti anni fa. Da una parte viene dalla mancanza di conoscenza e di informazione, perché queste persone non conosco la storia dell’Afghanistan. Dall’altra parte forse viene dall’esigenza di dimostrarsi di sinistra ed antimperialisti, ma senza alcun contesto. Non che non abbiano studiato, ma probabilmente non hanno capito che il mondo è cambiato ed è evoluto. C’è da dire che ci sono “network” di persone come Khalizad che hanno interesse che la guerra continui, che i Talebani continuino ad attaccare. C’è un ampio intreccio di interessi, soprattutto economico, in cui sta entrando anche la Cina. A qualcuno qui in Italia ho cercato di far capire quanto dannosa fosse questa propaganda, ma non mi hanno capito. Alcuni di loro stanno capendo ora, ma ormai è troppo tardi.  Tardi perché si è riusciti a pulire tutti i crimini dei Talebani: i massacri di guerra, il genocidio, le pulizie etniche. Hanno cercato di pulire la loro faccia e presentarli diversamente: la parola “terroristi” non viene più associata ai Talebani nel nostro mondo, addirittura c’è chi cerca di presentarli come un gruppo di militanti dell’opposizione che hanno combattuto per la libertà. A me questo fa molto male.”

    Eppure c’è chi nega l’evidenza e dice che i Talebani siano cambiati, oggi.

    “A queste persone rispondo così: sì, i Talebani sono cambiati. Sono diventati ancora più aggressivi, ancora più violenti ed intolleranti. Non sono quei poveracci degli anni ’90, sono più forti, hanno più mezzi e odiano tutti quelli che non sono come loro come nessun gruppo armato ha mai fatto. Ora quando distruggono i palazzi e uccidono le persone fanno festa. Prima non lasciavano tracce, adesso riprendono tutto e sono comparsi sui social. Rivendicano i loro crimini con orgoglio per produrre più paura. Ci sono video di persone legate vive alle macchine e trascinate per strada finché non muoiono.”

    Quali sono le differenze e le similitudini fra l’Afghanistan del 1998 e quello del 2021?
    “La loro ideologia e la loro interpretazione dell’Islam sono uguali. I Talebani del passato, però, utilizzavano solo i mezzi tradizionali; quelli di ora, invece, sanno utilizzare diversi tipi di armi e tecnologia per uccidere e per massacrare. La grande differenza è questa: ora sono diventati più forti. Al posto dei kalashnikov utilizzano gli M14 o armi più pesanti. Odiano chiunque non sia Talebano: quando hanno conquistato il distretto di Malistan, hanno fermato diversi pastori, chiedendogli se fossero Hazara e uccidendoli solo per questo. Quando qualcuno ha chiesto loro il perché di questa azione, loro hanno risposto che ‘è perché sono Hazara’. Paradossalmente i vecchi Talebani pensavano di più alle conseguenze delle loro azioni a livello internazionale, mentre ora no, è il contrario. Sui social network ci sono persone che sostengono i Talebani che vivono in Italia, a Londra, in Germania. Queste persone, su twitter, minacciano gli Hazara e io ho paura che, un giorno, sentendosi liberi e ritenendo i Talebani i vincitori, potrebbero cominciare ad ammazzarci ed ucciderci anche lontano dall’Afghanistan.”

    Molte personalità in Afghanistan, come per esempio Karzai, continuano a parlare dei colloqui di pace. Ma in quali condizioni possono essere portati avanti? Qual è la sintesi che nasce fra il regime di Ghani e l’Emirato dei Talebani?

    “Karzai si attiva soltanto quando c’è un movimento forte che può danneggiare i Talebani. Perché coloro che non vogliono che un gruppo terroristico prenda il potere e decida per tutta la popolazione si stanno unendo in tutto l’Afghanistan per combatterli. Nel Nord, in questi giorni, le forze popolari di Resistenza hanno combattuto strenuamente e hanno difeso molti distretti dall’avvento dei Talebani. Karzai sta cercando di salvarli, di dargli il tempo di conquistare nuovo potere. Dall’altra parte anche il governo di Ghani sta solo cercando di prendere tempo, ma Hazara, Uzbeki, Tagiki e anche altre etnie non accetteranno mai il dominio dei Talebani. O andremo verso una guerra civile che durerà per anni, oppure si va per la divisione. Si suppone una divisione in due, al Sud i pashtun che vogliono farsi governare da un gruppo terroristico sotto la Sharia, e al Nord le altre etnie, quelle che vogliono avere un governo democratico.

    Quali sono le prospettive politiche degli Hazara? Perché, rispetto ad altri gruppi etnici, i leader degli Hazara sono molto divisi?

    “Noi Hazara non possiamo essere uniti come le altre minoranze, perché non abbiamo una sola voce indiscutibile, ma ne abbiamo tante. La società civile dentro agli Hazara è troppo forte, ognuno pensa liberamente, ognuno può avere idee diverse e comunicarle. Da una parte è ovviamente un gran pregio, ma comporta anche, per esempio, che per noi Hazara avere un leader tradizionale non basti più, perché in molti casi la società vogliamo cambiarla e non rimanere ancorati alla tradizione. In questo momento la nostra unica prospettiva politica è la sopravvivenza. L’indirizzo comune, ad oggi, è quello di salvare la famiglia e la nostra terra.”

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