martedì, Febbraio 11, 2025
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    La ricerca del piacere dei sensi e il senso più importante per Aristotele (Riflessioni sulla Psicologia Aristotelica)

    Qualcuno al giorno d’oggi cerca il divertimento e il piacere in attività che richiedono un uso generalmente ridotto del pensiero logico-razionale: andare in discoteca a ballare, in resort e spa, centri benessere, ristoranti, suonare strumenti musicali, fare sport, avere rapporti sessuali, passare serate a bere alcolici e fumare (sigarette, narghilè, sigari, spinelli, etc), prendere droghe, farmaci (drugs), o cibi in generale (secondo Ippocrate, infatti, il cibo è “pharmacon”, un termine “vox media” che significa “cura”, ma anche “veleno”); vedere film al cinema, concerti, spettacoli teatrali, etc. Tutte queste attività hanno un elemento comune, ossia il fatto che consentono l’esercizio e lo stimolo di uno o più sensi in maniera differente e inusuale rispetto alla quotidianità in compagnia di individui con i quali normalmente non trascorrono il tempo.

    Il senso sul quale vorrei concentrarmi oggi è quello considerato più importante da Aristotele (384-322 a.C.) nel “De Anima” (Perì Psyché), un senso della cui importanza i più sembrano essersi dimenticati. In questo testo, il gusto viene descritto come una specie di tatto che per aver luogo necessita della presenza dell’umido (la saliva) tra l’oggetto assaporato e l’organo assaporante (la lingua). Il filosofo greco è famoso anche per la sua descrizione di Dio come forza motrice, oggetto di desiderio e amore che, sia a livello sensoriale sia intellettuale, attira l’amante verso l’oggetto amato.

    Nella Divina Commedia, Dante identifica Dio con il concetto platonico-cristiano di Bene e Amore, descrivendolo in senso aristotelico come “l’Amor che move il Sole e l’altre stelle” (Paradiso XXXIII,145), una forza motrice immobile che, amando, muove, senza necessariamente essere mossa. La materia informe, la “chora” platonica, pura potenza – come la natura umana, ilica, ossia fatta di “ulè”, humus, terra, nata cioè dal fango sul quale secondo la Bibbia Dio sputò per creare Adamo – guarda al modello di perfezione divino e tende ad esso come la potenza, dunamis, ossia pura mobilità ed instabilità, tende naturalmente all’atto, enérgheia“, a quell’elemento che è “en ergos”, ossia esiste all’interno dell’opera della natura, o “entelécheia“, contrazione di “en telei échein”, che significa avere dentro uno scopo, una finalità interiore, una tendenza naturale verso un fine.

    Per qualcuno gli oggetti del proprio amore possono essere i più disparati: un potenziale partner, una certa esperienza psico-fisica, auditiva, visiva, olfattiva, legata al gusto, razionale e tutte le possibili combinazioni di queste. Qualcuno avrebbe istintivamente detto che il senso per loro più importante – come anche per gli animali – è il senso della vista. Eppure, per il filosofo greco il senso più importante per l’animale e l’unico che ne consente e garantisce la vita è il tatto.

    Nel suo Traite des sensations (1754) Il filosofo dell’Illuminismo francese Étienne Bonnot de Condillac (1714-1780), tentando di spiegare il modo in cui avviene la conoscenza umana e si formano le idee dall’esperienza sensibile, immagina una statua che si anima gradualmente acquisendo i vari sensi uno alla volta: senza il tatto la statua rischia di essere mutilata o distrutta, perché incapace di provare piacere e dolore e di capire cosa potrebbe danneggiarla fisicamente e cosa no.

    Le persone senza tatto possono essere immaginate come tutte le persone incapaci di muoversi fisicamente, paralitici, persone colpite da malattie che comportano la perdita di sensibilità degli arti e della capacità di poterli muovere. Se da un lato un cieco normalmente può muoversi autonomamente, procurarsi da vivere e riprodursi, assicurandosi quindi la sua sopravvivenza e quella della sua specie, dall’altro lato un paralitico – quantomeno normalmente – non può.

    Con gli strumenti di oggi, chiaramente, questo limite è stato in gran parte superato, e ciò viene in parte dimostrato dall’esistenza di un modello quale lo scienziato Stephen Hawking (1942 – 2018), condannato all’immobilità all’età di 38 anni ma in grado di proseguire la sua vita e la sua attività di ricerca a livelli altissimi. In tempi in cui cose del genere non erano possibili, la crucialità del senso del tatto nella vita animale e specificamente umana appariva evidente ad Aristotele, in quanto senso strettamente collegato con l’istinto di sopravvivenza del singolo e della specie. Ogni volta che si può esercitare il tatto, infatti, l’istinto vitale viene chiamato direttamente in causa e ci sentiamo vivi.

    Pur non essendo uno psicologo di professione, metterei almeno 4 dita sul fuoco che l’utilizzo del tatto nelle sue diverse forme aiuterebbe diversi individui a superare alcuni problemi di natura psicologica e sociale.

    9 Commenti

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