Questo è un articolo-estratto dell’intervista a Ed Soph del Febbraio 2018 a Denton per Filosofia della Musica (www.filosofiadellamusica.com) e il Trattato (www.iltrattato.com), il contenuto della quale verrà pubblicato integralmente nelle prossime puntate.
Nel Febbraio del 2018 andai a Denton, a circa 60 km da Dallas, in Texas, per incontrare Ed Soph, batterista jazz, ex professore di batteria alla prestigiosa University of North Texas, membro della One O’ Clock Band, molto noto per la sua maestria con le spazzole e la sua conoscenza profonda del linguaggio jazz, oltre che per essere stato maestro di batteristi quali Keith Carlock, Dave Weckl, Ari Honig, Jason Sutter e tanti altri.
Ed mi fece un discorso molto profondo sul suo modo di concepire l’esperienza musicale e l’apprendimento della musica:
“Niente è difficile: è semplicemente nuovo. Non è un’esperienza negativa, ma fantastica: devi solo sapere come viverla. Accetta i tuoi limiti e considerali positivi anziché negativi”.
Se niente è difficile da apprendere, di fatto tutto è insegnabile e comprensibile.
Un’idea suggerita già da Platone nel Menone, in cui Socrate fa dimostrare il teorema di Pitagora ad uno schiavo ignorante.
Quante volte abbiamo sentito dire: “questa cosa è difficile”, “sto studiando cose difficili”; “quella persona fa cose difficilissime”; e così via?
Sono tutte espressioni che abbiamo sentito più volte, spesso anche tra musicisti.
Chi ha studiato filosofia sa che l’aggettivo “difficile” è inappropriato per descrivere, sia essa una composizione musicale o qualcos’altro, perché si tratta di un giudizio relativo, condizionato dalle pre-conoscenze del soggetto giudicante.
Per un italiano o uno spagnolo è tendenzialmente più facile imparare il francese rispetto ad un cinese o ad un giapponese, perché nel primo caso si tratta di lingue molto più simili e vicine.
Esistono certamente diversi livelli di “complessità” nell’apprendimento. La parola “complesso” deriva dal latino, dalla particella “cum”, “insieme” e dal verbo “plecto”, “intrecciare”. Ciò che è complesso è “un insieme di elementi intrecciati”.
Maggiore sarà, quindi, il numero di conoscenze accumulate e interconnesse da parte di un soggetto, maggiore sarà la sua capacità di esprimere idee complesse.
A parità di condizioni, per un italiano sarà più facile imparare il francese rispetto ad un cinese. Perché? Perché nel primo caso si tratta di lingue molto più simili e le pre-conoscenze possedute dall’Italiano gli faciliteranno il processo di apprendimento.
Si tratta, però, di pre-conoscenze acquisite dall’ambiente nel tempo, non innate, come insegnano gli empiristi John Locke (1632 – 1704), George Berkley (1685 – 1753) e David Hume (1711 – 1776).
Esperti di psicolinguistica, psicologia della comunicazione e dell’apprendimento arrivarono alla conclusione che il modo in cui descriviamo linguisticamente la realtà determina il modo in cui ci rapportiamo ad essa e la viviamo.
È proprio per questa ragione che oggi, nel campo dell’educazione, ci si concentra sempre di più sull’identificare i cosiddetti “limiting beliefs“, le “credenze limitanti” dello studente, e re-interpretarli linguisticamente e concettualmente attraverso un processo che prende il nome di “cognitive re-frame“, “re-incorniciamento cognitivo”.
Un modo di lavorare con lo studente che purtroppo, quantomeno in Italia, non è ancora sufficientemente diffuso. Da una parte, perché l’insegnamento di queste conoscente non fa parte del programma di formazione degli insegnanti; dall’altra, perché la legge consente ancora che esistano classi di 25-30 alunni.
Un esempio di “credenza limitante” è proprio quello col quale abbiamo iniziato: “questa cosa è difficile”. E un esempio di “re-incorniciamento” è quanto detto da Ed Soph: “niente è difficile: è semplicemente nuovo”.
Concetto contrario al “limiting belief” è invece il cosiddetto “empowering belief“, “la fede incoraggiante” (letteralmente “che dà potere”). Un esempio potrebbe essere il seguente: se credo di essere destinato a rivoluzionare il mondo della musica e a cambiarlo per sempre, è possibile che questa fede mi dia una fiducia in me stesso tale da farmi sentire “autorizzato” a rompere gli schemi; da darmi un potere creativo senza limiti, illimitato; da creare un nuovo modo di esprimersi con la musica.
Una famosa frase di Napoleon Hill (1883 – 1970) dice: “L’unico limite che si ha è quello posto dalla propria mente” (“your only limitation is the one you set up in your own mind”).
Successivamente, Ed mi raccontò un aneddoto:
“Quando avevo 12-15 anni mentre lavoravamo sul rullante il mio insegnante mi disse: il modo più veloce per imparare qualcosa è esercitarsi lentamente. Suonando lentamente si aumenta lo spazio tra le note. E quando si è in grado di giudicare lo spazio del silenzio e della salita della bacchetta (upstroke), si sarà in grado di darle tanta importanza quanto alla discesa della bacchetta (downstroke). La maggior parte di noi pensa alla discesa perché è la parte che produce il suono. La qualità di quel suono e se quella nota è a tempo e dinamicamente coerente con le note precedenti e successive dipende interamente da ciò che accade all’interno dello spazio compreso tra quelle due discese; esercitarsi lentamente significa mettersi al microscopio per allargare lo spazio tra le note; ti rende davvero consapevole del tempo, perché il tempo non è solo suono, ma anche silenzio”.
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