Questo è un articolo-estratto dell’intervista a Gary Chaffee del Febbraio 2017 a Boston per Filosofia della Musica (www.filosofiadellamusica.com).
Definitivamente in pensione dal 2020, Gary Chaffee (in foto) è stato uno dei più importanti batteristi e didatti americani, più popolarmente conosciuto per essere stato il direttore della didattica di batteria alla prestigiosa Berkelee di Boston e l’insegnante di due mostri sacri della batteria, Vinnie Colaiuta e Steve Smith.
Parlando dell’utilizzo del piatto nella musica jazz, Gary spiega:
Il piatto ride racconta una storia, e nel frattempo dialoga con gli altri strumenti, in maniera molto simile al modo in cui le persone parlano. Sono stato in un bel posto… Cosa è successo?… Ho visto questo, questo e quest’altro… Ma dai, deve essere stato molto piacevole… e così via…
Successivamente riesce a spiegare un concetto molto denso e profondo con un’immagine molto semplice.
Secondo lui, nella musica jazz, in generale, e nelle cellule che la compongono, nello specifico – i cosiddetti “pattern” o “disegni musicali” – ci si trova di fronte a un “caleidoscopio“.
Ma iniziamo con ordine. Cosa sono i “pattern” o “disegni musicali” e cos’è un caleidoscopio?
I pattern musicali sono sequenze determinate di movimenti degli arti nello spazio e nel tempo. Un esempio è il “paradiddle” per un percussionista.
Nel caso del paradiddle si tratta di un gruppo di quattro note suonato in serie: la sillaba “pa” indica il primo colpo singolo con l’arto “A”, la sillaba “ra” il secondo colpo singolo con l’arto “B”, e la parola “diddle” un colpo doppio con l’arto “A”. La sequenza può ripetersi al contrario partendo dall’arto “B”.
Se, quindi, gli arti in questione sono la mano destra (D) e la mano sinistra (S), il pattern sarà “DSDD / SDSS”.
E cos’è il caleidoscopio?
Negli anni ’90 si trovavano spesso i caleidoscopi come “sorpresa” nei pacchetti di patatine o nelle uova di Pasqua commerciali.
Si tratta di uno strumento ottico, la cui invenzione viene attribuita allo scienziato ScozzeseDavid Brewster (1781 – 1868) nel 1815. Due o più specchi vengono rivolti l’uno verso l’altro, solitamente all’interno di un tubo, formando una figura geometrica.
In un’estremità del tubo sono presenti degli oggetti, normalmente pezzi di vetro o materiale colorato, trasparente o opaco. Nell’altra estremità c’è il punto di vista dell’osservatore, che può vedere dei disegni simmetrici regolari (pattern) per via del riflesso ripetuto degli oggetti tra gli specchi situati nella parte opposta. Roteando il caleidoscopio, si muovono anche i materiali. E il risultato per l’osservatore è un disegno che cambia di continuo al cambiare della prospettiva, nonostante i materiali restino gli stessi.
Il significato del termine si trova già nella sua etimologia. La parola deriva dal greco antico ed è frutto della composizione dell’aggettivo “καλός” (kalós) “bello“; del sostantivo “εἶδος” (eîdos) “figura, forma” – termine a sua volta derivato dalla radice “ἰδ” dell’aoristo del verbo “ὁράω” (orào) “vedere”, molto noto in filosofia perché ampiamente utilizzato da Platone per descrivere “le forme visibili”, le famose “idee”, traduzione italiana che però non rende immediatamente il significato originale del concetto greco; e del verbo “σκοπέω” (scopéo) “osservare“.
Così come in un caleidoscopio, in un pattern musicale esistono un centro e un’insieme di possibili variazioni: muovendo un certo pattern sullo strumento, suonandolo in diversi ritmi e timbri, si ottengono diversi colori, disegni e variazioni.
E la stessa cosa succede, più in generale, nell’improvvisazione jazz. Nel jazz, infatti, c’è un tema originario, un centro, dal quale poi possono nascere variazioni virtualmente infinite, modificazioni degli elementi concettuali originari, ossia il tema e le sue parti.
E per un musicista questa modificazione dei concetti originati si traduce inevitabilmente in un’alterazione degli elementi fisici, perché la musica è un fenomeno fisico.
Ciò comporta un cambiamento degli arti utilizzati e delle componenti dello strumento utilizzate, che per un batterista – per esempio – possono essere i diversi tamburi, i piatti o le diverse zone in cui ognuno di questi strumenti viene colpito; per un chitarrista, i tasti e le corde da suonare; per un pianista i tasti del pianoforte; e così via.