Una rubrica settimanale
Tempo di lettura: 10’ circa
L’angoscia e l’impotenza
Questa rubrica nasce dal’’esigenza di chiarire i pensieri e trovare uno modo per contenere le emozioni che emergono davanti ogni immagine che ci arriva dal conflitto israelo-palestinese, probabilmente la questione geo-politica più complessa e tragica dell’intera storia umana.
La natura di tale conflitto impone l’abbandono di facili semplificazioni, logiche sportive, polarizzazioni di significato che spesso ottundono i sensi e che a nulla servono.
Anche leggere i giornali, informarsi nei vari canali web risulta spesso uno sforzo inutile: molti di noi rimangono sopraffatti dal numero di informazioni, dalla diversificazione delle fonti, dalla paura di non stare raggiungendo la “verità” . E così mollano la presa, si arrendono al fatto che “l’uomo è guerra”: quella in Palestina è l’ennesima, triste, conferma.
Il senso di impotenza che viviamo di fronte ai corpi dilaniati è immane, e lo affoghiamo nei nostri impegni quotidiani: “Tanto io che cosa posso fare?”. Scivoliamo nel torpore.
La verità è diventata un “bene di lusso” che spesso non possiamo permetterci, nonostante la post modernità ci abbia indotto a pensare che viviamo nell’epoca col maggior grado di libertà di accesso alle informazioni. Oggi riscontriamo che questa libertà è una menzogna; la maschera è caduta.
Abbiamo subito negli ultimi dieci anni l’imposizione di un nuovo paradigma: quello della rigida logica binaria. “Noi/loro”, “West/rest”, “Mondo libero/paesi islamici”, “Provax-Novax” costituiscono esempi che compongono delle griglie di lettura che sempre di più mostrano i limiti di una ragione che separa e non comprende. La criminalizzazione o la demonizzazione delle posizioni dell’altro è una prassi consolidata.
Oltre ai torti, oltre le ragioni: ritrovare l’umanità perduta
Ho diversi ricordi della mia infanzia, quando io e i miei fratelli giocavamo a prenderci a cazzotti. “Mamma, Marco mi ha dato “botte” (termine dialettale siculo)”. “No, ha iniziato lui”, replicava prontamente mio fratello. E ricordo ancora bene che mia madre, spazientita e sfiancata (pediatra e madre di 4 figli maschi), ci sgridava: “non mi interessa chi ha iniziato!”. Non fate come fanno Israele e Palestina; non mi interessa chi ha ragione. Smettetela e basta!”. A quel tempo non avevo idea della questione, ma avevo capito che impelagarsi ed arroccarsi nelle ragioni e rivendicazioni – anche quando queste sono evidenti – non sempre serve, soprattutto quando la ricerca delle ragioni sovrasta l’urgenza di un “fermate il fuoco” ogni giorno più urgente.
Ho sognato molte volte, dall’origine di questa ennesima escalation, che arrivasse una “madre universale” a bloccare tutto, a salvare tutti quei bambini che sono morti e che continuano a morire.
Questo frammento di storia infantile mi aiuta a esprimere l’urgenza che il conflitto in corso si arresti immediatamente. Al momento attuale ritengo che il dibattito pubblico sulle cause di base sia, sostanzialmente, inutile ed irresponsabile. Quando tutto sarà finito, sarà giusto aprire un reale confronto e mettere in atto tutte le azioni necessarie per raggiungere la pace.
Adesso, è utile chiarire la mia posizione – almeno per l’onestà intellettuale che sento il dovere di avere – che si basa su 4 presupposti irrinunciabili:
- la difesa dei palestinesi e degli israeliani dalla politica coloniale e razzista del sionismo politico e dei partiti di estrema destra, che governano le sorti del paese ebraico;
- la difesa e la legittimità dell’esistenza di due stati: Israele e Palestina
- il rifiuto totale di qualsiasi forma di violenza, a prescindere dalle ragioni;
- la cura delle seguenti forme di pregiudizio e razzismo: islamofobia e antisemitismo.
Come spero sarà chiaro nel corso di questo percorso/rubrica, questa difesa è rivolta indiscriminatamente a tutte le persone che abitano in Palestina e in Israele. Sarà, inoltre, dimostrata la possibilità di essere a favore di entrambi i popoli e al contempo essere fermi nella volontà di eliminare la politica sionista.
Queste posizioni nascono dall’esperienza come psicologo sociale e come operatore umanitario impegnato nella cura della salute mentale dei bambini e delle famiglie che vivono nella Striscia di Gaza e, ancor prima, dalla mia assoluta incapacità di tollerare qualsiasi forma ingiustizia. E’ da tale prospettiva che scrivo.
Sarà data testimonianza della sofferenza psicologica, esistenziale e materiale di un popolo come quello della Striscia di Gaza. Al contempo, sarà dato largo spazio a tutte quelle voci di persone arabe, musulmane, ebree ed israeliane che in tutto il mondo si scagliano contro la politica colonialista e la violenza dello stato di Israele.
Lo sforzo è teso a contribuire alla rimozione degli ostacoli alla pace. Una pace che, certamente, non avverrà solo perchè si dimostrano i crimini di Israele o le colpe degli stati arabi nelle varie guerre che si sono succedute a partire dal 1948. Su questo si sono impegnati intellettuali del calibro di Pappè, Chomsky e tanti altri. Ma nulla è mutato.
Sono fermo nel credere che il cambiamento possa partire solo dal radicarsi nell’unica dimensione incorruttibile ed inalienabile che abbiamo a disposizione: il senso di umanità. Solo attraverso il recupero pieno dei sentimenti della tenerezza e della compassione, della protezione della vita, dell’amore verso il vivente è possibile riconoscersi nell’ “Altro”, coltivando il valore della fratellanza (parola passata di moda) con qualsiasi persona, a prescindere dalla sua origine (nazionale, culturale, religiosa, etnica, di genere, ecc).
Ritengo che tale impostazione sia utile anche a moderare le personali simpatie e le proprie ideologie (anche io ne ho), spesso presenti in modo sommesso ed inconsapevole. Solo così potremmo ribellarci e agire senza paura verso ogni malvagità, spazzando via l’angoscia che ci sussurra che la natura dell’uomo coincide con la logica della guerra.
Così come le forme di vita da cui discendiamo hanno imparato a respirare fuori dall’acqua, così oggi possiamo imparare a guardare negli occhi un qualsiasi essere umano ed essere invasi da quell’esperienza che ci fa sentire che lui/lei “è mio fratello, è mia sorella”.
Certamente questo percorso sarà intriso di riferimenti e fatti politici, storici, sociali. Tutti temi saranno trattati come espedienti per delineare orizzonti che nemmeno chi scrive sa immaginare.
L’invito è quello di lavorare insieme.
P.S.: Questo articolo rappresenta l’inizio di un cammino. Gli articoli che seguiranno si alterneranno a delle occasioni di confronto (da remoto sulla nostra piattaforma zoom) insieme a professionisti, attivisti e personalità che ci aiuteranno a sviluppare riflessioni utili alla riduzione della sbornia cognitiva a cui siamo sottoposti.